Il fallimento francese in Mali è militare, politico e diplomatico
Il Mali, principale fronte su cui è impegnato l’esercito francese fuori dal territorio nazionale, si sta trasformando in un rompicapo politico-diplomatico. Ora il rischio per Parigi è quello di un fallimento, e dunque di una ritirata a condizioni che minerebbero a lungo termine l’influenza francese sul continente.
La Francia ha appena subìto due colpi durissimi in Mali, quasi nove anni dopo l’inizio dell’intervento deciso dal presidente socialista François Hollande. Entrambi gli eventi sono legati a decisioni prese dalla giunta al potere a Bamako, che ha sfidato non soltanto Parigi ma anche i paesi della regione e una parte dei maliani. Al centro della questione ci sono il calendario per il ritorno alla vita civile e il dispiegamento dei militari russi, dallo status ambiguo.
Il capo della giunta, il colonnello Assimi Goïta, ha reso note le prossime tappe della transizione verso un governo guidato da civili, dopo aver contestato l’obiettivo di indire le elezioni a febbraio. Nella nuova tabella di marcia, che ha sorpreso tutti, le presidenziali sono rinviate a gennaio del 2026. Dunque il Mali dovrebbe vivere altri quattro anni di governo militare.
In che senso questo può considerarsi un fallimento per la Francia? Parigi vorrebbe conservare l’apparenza di una presenza militare richiesta dalle autorità ufficiali di Bamako, anche per rispondere alla campagna antifrancese che nelle ultime settimane è stata sempre più evidente.
Gli avvertimenti di Parigi restano lettera morta o addirittura alimentano l’idea che il governo francese abbia paura della “concorrenza” russa
La Francia non ha certo gradito il “colpo di stato nel colpo di stato” che a maggio aveva portato il colonnello Goïta a rovesciare le persone che lui stesso aveva piazzato al potere pochi mesi prima. Il presidente francese Emmanuel Macron ha dichiarato che non sarebbe rimasto “al fianco di un paese dove non esistono più una legittimità democratica e una transizione”. Da quel momento, però, la situazione non è stata risolta, e Macron ha dovuto annullare la sua visita in Mali subito prima di Natale, un evento che era stato imprudentemente annunciato prima di avere le certezza che le condizioni fossero accettabili.
La seconda questione è quello dei mercenari di Wagner, la compagnia militare privata russa vicina al Cremlino, di cui la Francia e altri 17 paesi occidentali hanno denunciato l’arrivo in Mali. Bamako ha negato e sostiene che si tratti soltanto di consulenti militari russi, ma l’equivoco sulla presenza di questi individui, segnalati già a decine a Bamako e nel centro del Mali, non potrà durare a lungo.
Inizialmente Parigi aveva reagito in modo categorico: “O Wagner o noi”. Ora la posizione francese è meno netta, anche se a Parigi sono ancora convinti che la coabitazione tra due forze contraddittorie possa diventare ingestibile.
Per il momento l’impatto è innanzitutto politico. La Francia ha perso la possibilità di farsi sentire a Bamako: i suoi avvertimenti restano lettera morta o addirittura alimentano l’idea che il governo francese voglia dettare legge al valoroso colonnello Goïta per paura della “concorrenza” russa. E questo nonostante il fatto che i paesi africani della regione condividano gli obiettivi francesi e abbiano imposto una serie di sanzioni alla giunta maliana.
Dopo nove anni di presenza in Mali, la Francia si ritrova senza un orizzonte chiaro, né militare né politico, e senza una via d’uscita onorevole. Tra jihadisti, reti mafiose, golpisti e mercenari russi, in Mali potrebbe non esserci più spazio per l’esercito e per l’influenza della vecchia potenza coloniale.
Questo è il problema che si presenta a Macron, deciso a rifondare i rapporti franco-africani ma intrappolato in un conflitto senza soluzione.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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