Da diversi decenni – cinque per essere precisi – gli Stati Uniti mantengono rispetto a Taiwan quella che è definita come una “ambiguità strategica”. Washington si è impegnata a fornire al governo dell’isola i mezzi per difendersi, ma non ha mai chiarito se il suo esercito interverrebbe in caso di tentativo di conquista del territorio conteso.
Il 23 maggio, per la seconda volta in meno di un anno, Joe Biden ha abbandonato questa ambiguità dichiarando che sì, l’esercito degli Stati Uniti interverrebbe in caso di aggressione cinese. In piena guerra in Ucraina questa dichiarazione è tutt’altro che irrilevante. Si tratta di un avvertimento rivolto ai leader cinesi, tra l’altro lanciato in Asia, a Tokyo, mentre Biden aveva al suo fianco il primo ministro giapponese Fumio Kishida.
Il problema è che come nel 2021 – all’indomani della ritirata da Kabul, quando il presidente statunitense aveva inserito Taiwan nella lista dei paesi con cui gli Stati Uniti hanno un trattato di difesa (cosa non vera) – la Casa Bianca è stata obbligata a smorzare le dichiarazioni di Biden.
Equazione in cambiamento
Il 23 maggio i portavoce degli Stati Uniti hanno cercato di convincere i giornalisti che il presidente non aveva detto ciò che in realtà aveva detto eccome, e che il governo statunitense riconosce ancora “un’unica Cina”, quella di Pechino. È stata una gaffe? O Biden ha detto ciò che pensa davvero? Forse questa è la nuova “ambiguità strategica”, ma resta il fatto che l’equazione regionale sta evidentemente cambiando.
Questa uscita è legata senza dubbio alla guerra in Ucraina, perché la Cina mantiene legami stretti con la Russia e tutto il mondo osserva il suo comportamento in questa crisi.
L’ipotesi di un’eventuale guerra per Taiwan è prima di tutto legata a un possibile intervento degli Stati Uniti
In senso opposto, Pechino studia a sua volta la guerra in Ucraina per trarne un insegnamento sulle sanzioni che colpiscono la Russia e di cui potrebbe essere vittima anch’essa, ma anche per domandarsi, davanti alle difficoltà della Russia, se il suo esercito (che non combatte dal 1979) sia davvero così potente come si crede e per capire se la resistenza dei taiwanesi potrebbe essere feroce come quella degli ucraini.
Ma l’ipotesi di un’eventuale guerra per Taiwan è prima di tutto legata a un possibile intervento degli Stati Uniti, che farebbe tutta la differenza del mondo. Le parole di Biden, in questo senso, cambiano le carte in tavola.
La Cina può davvero attaccare Taiwan? La domanda è complessa. Evidentemente Pechino vuole assumere il controllo di un’isola che considera come parte della Cina e che rifiuta qualsiasi forma di riunificazione, ma questo non rende il conflitto armato inevitabile. Il problema è che Xi Jinping, il numero uno cinese, ha dichiarato che la questione Taiwan dev’essere risolta dalla sua generazione e non ha escluso il ricorso alle armi. Questa è un’altra fonte di ambiguità.
Annunciando che il prezzo da pagare sarebbe una guerra con gli Stati Uniti, Biden ha riproposto la strategia comunicativa aggressiva che aveva adottato con Putin prima dell’invasione dell’Ucraina e che chiaramente non ha dissuaso la Russia. Il rischio con Pechino è prima di tutto quello di spingere ulteriormente l’Asia verso la guerra fredda, senza però scongiurare la possibilità di una guerra ma limitandosi ad aumentarne il prezzo per la Cina.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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