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Come placare il vento di follia innescato da Boris Johnson

Downing street, Londra, 7 luglio 2022. Boris Johnson al termine della conferenza stampa sulle sue dimissioni. (Phil Noble, Reuters/Contrasto)

Cosa resterà di Boris Johnson? La sua attitudine da clown, che il settimanale britannico The Economist mette in copertina questa settimana? Oppure, più probabilmente, la Brexit e le sue conseguenze?

Johnson non ha inventato la Brexit, ma la sua adesione alla campagna del leave, quella per “lasciare” l’Unione europea in occasione del referendum del 2016, ha dato slancio e credito a una causa che era piuttosto marginale. I sostenitori della Brexit come Nigel Farage non sono stati presi sul serio (forse a torto) fino a quando Johnson non ha messo tutto il suo peso sulla bilancia, ottenendo una clamorosa vittoria.

Poco importa che Johnson avesse promesso “un futuro radioso” una volta che il Regno Unito si fosse liberato dei vincoli dell’Unione europea e che la maggior parte delle sue promesse si sia rivelata ingannevole. Quella scelta ha cambiato il destino dell’ex sindaco di Londra e soprattutto quello del paese, non necessariamente per il meglio.

Promesse irrealizzabili
Possiamo già stilare un bilancio della Brexit? I sostenitori dell’uscita dal club europeo sostengono che sia troppo presto. Tuttavia il mese scorso un think-tank londinese ha mostrato che, alle prese con gli stessi problemi di altri paesi (covid, emergenza climatica), l’economia del Regno Unito è stata danneggiata maggiormente rispetto a quanto sarebbe successo se il paese fosse rimasto nell’Unione. Alla fine del 2021 il Regno Unito registrava un pil in calo del 5 per cento, investimenti diminuiti del 13 per cento e scambi commerciali ridotti quasi del 14 per cento…

Re degli illusionisti, Johnson non ha mai riconosciuto il costo che la Brexit ha imposto al paese, anche perché aveva cavalcato l’onda della Brexit nella sua scalata ai vertici del partito conservatore. E pazienza se la sua promessa di “Global Uk”, di un Regno Unito che sarebbe ripartito alla conquista del mondo, si è rivelata leggermente più complessa del previsto. Il “sistema Johnson” è stato un’acrobazia permanente, fino a quando non ha più funzionato.

Cosa succederà alla Brexit dopo l’uscita di scena di Johnson? Qualche giorno fa una dichiarazione del capo dell’opposizione laburista Keir Starmer ha sorpreso tutti: “Mettiamo le cose in chiaro, con i laburisti il Regno Unito non tornerà all’interno dell’Unione europea, non rientreremo nel mercato unico o nell’unione doganale”. L’obiettivo di queste parole è senza dubbio quello di non riattizzare un dibattito che divide drammaticamente non soltanto il paese ma anche le famiglie politiche britanniche. Ma la dichiarazione evidenzia anche che la Brexit non sparirà.

Quello che può cambiare, invece, è il clima tra Londra e Bruxelles o tra il Regno Unito e i paesi del continente. Al momento i rapporti sono molto tesi. La fiducia è evaporata dopo che Johnson ha voluto ignorare una delle clausole principali dell’accordo negoziato con grande fatica dalle due parti, quella che permette di non rimettere in discussione l’assenza di una frontiera in Irlanda. Questa fiducia potrà essere ripristinata con un altro primo ministro? Prima di tutto bisognerà che il vento di follia che ha travolto il partito conservatore cessi di soffiare. Soltanto allora, forse, i legami potranno essere riallacciati. Riuscirci è nell’interesse di tutti.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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