La collera di Mosca dopo la controffensiva ucraina
Nemmeno gli ucraini speravano tanto. In meno di una settimana l’esercito di Kiev ha riconquistato tremila chilometri quadrati di territori che si trovavano sotto il controllo dell’esercito russo, nel nordest dell’Ucraina, vicino alla grande città di Charkiv. La controffensiva ucraina ha colto di sorpresa i russi e costituisce un punto di svolta della guerra, anche se sarebbe meglio evitare di trarne conclusioni affrettate. È il secondo grande fallimento militare russo di questa campagna d’Ucraina, dopo quello di Kiev all’inizio dell’invasione.
Il successo ucraino in questo caso è duplice. Prima di tutto è psicologico, con una serie innumerevole di video in cui la bandiera ucraina sventola nuovamente sui comuni riconquistati. È un grande colpo per il morale di uno stato in guerra da 200 giorni e che sta facendo enormi sacrifici.
In secondo luogo il successo è militare. Nei video si apprezza l’impressionante quantità di materiale russo abbandonato o distrutto, anche nella città di Izyum, un centro logistico regionale dove i depositi pieni di casse di munizioni sono finiti in mano agli ucraini. I russi non hanno avuto nemmeno il tempo di distruggerli durante la fuga. Le immagini mostrano anche molti documenti che saranno analizzati dai servizi di intelligence ucraini e senza dubbio anche da quelli occidentali.
Abbandono delle posizioni
Come spiegare questo successo? La determinazione delle forze ucraine è nota. Ma a risaltare, ancora una volta, sono la disorganizzazione e l’impreparazione dell’esercito russo.
Com’è possibile che un esercito dotato di satelliti, droni e informatori non abbia notato che gli ucraini stavano raggruppando truppe e blindati per la loro controffensiva? Come è possibile che i russi si siano ritrovati senza altra scelta se non quella di arretrare senza opporre una reale resistenza?
Tocca dunque al presidente russo reagire, cosa che non ha ancora fatto
Lo stato maggiore di Mosca ha riconosciuto l’abbandono delle posizioni, presentandolo però come una conseguenza del raggruppamento delle proprie forze. Gli ucraini, dal canto loro, parlano di fuga nel panico dei soldati russi, che avrebbero abbandonato perfino le derrate alimentari. Alcuni soldati russi sarebbero fuggiti in bicicletta per non fungere da bersagli all’interno dei carri armati.
L’impatto più interessante della vicenda è quello che si verifica in Russia, dove da due giorni assistiamo a un cambiamento di tono. Le trasmissioni della propaganda alla tv russa, che per tre mesi hanno vantato la virilità e la potenza dell’esercito del Cremlino, hanno lasciato il posto alla collera e all’incredulità. Un famoso commentatore ha chiesto di colpire i paesi della Nato e ha citato Stalin, secondo cui chi si lasciava prendere dal panico doveva essere abbattuto.
Fatto ancor più significativo, l’11 settembre il leader ceceno Ramzan Kadyrov, dopo aver inviato diversi contingenti in Ucraina e aver sfilato tra le rovine di Mariupol, ha messo in discussione la strategia di Mosca. Kadyrov ha dichiarato che se le cose non cambieranno, nei prossimi giorni andrà a parlare con il capo, ovvero Vladimir Putin.
Tocca dunque al presidente russo reagire, cosa che non ha ancora fatto. Il paradosso è che Putin viene contestato non da chi si oppone alla guerra, ma da chi gli rimprovera di non averla ancora vinta. Il capo del Cremlino non ha ancora detto l’ultima parola, e il rischio di un crescendo è grande. Dalla sera dell’11 settembre una pioggia di missili si sta abbattendo su diverse città, e in tre regioni è stata interrotta la corrente elettrica. Questa è la vendetta dello zar.
(Traduzione di Andrea Sparacino)