Il Burkina Faso è lo specchio delle contraddizioni francesi in Africa
Dopo Bamako, Ouagadougou. La storia si ripete: in un contesto segnato da problemi interni e scossoni nei ranghi di regimi militari instabili, la Francia si trova presa di mira. E intanto le bandiere russe fanno la loro comparsa.
Il 2 ottobre, a Ouagadougou, nel bel mezzo di un colpo di stato, la folla ha attaccato l’ambasciata e l’istituto di cultura francese. Secondo una voce di corridoio il presidente destituito, il tenente colonnello Damiba, sarebbe stato posto sotto la protezione di Parigi. L’Eliseo ha immediatamente smentito, ma infiammare una folla è molto più facile che calmarla.
Soprattutto se un militare burkinabé si mette a sventolare una bandiera russa, come emerso in un video girato durante i tumulti. Dal Donbass al Sahel, le immagini si confondono e si intrecciano, e meritano una riflessione.
I conti a metà con il passato
Un’analisi semplice sarebbe quella di sostenere che la Russia si è impegnata in una parte dell’Africa in un’operazione ostile alla Francia. Questa realtà esiste: la disinformazione russa nell’Africa francofona è stata abbondantemente documentata. Ma questo non basta a giustificare ciò che sta accadendo a Ouagadougou e altrove.
Allo stesso modo, evocare solo l’eredità coloniale francese non è sufficiente e potrebbe essere perfino fuorviante se vogliamo trovare i motivi per cui la Francia si trasforma spesso in capro espiatorio della collera di una parte dei giovani africani.
Esiste una grande illusione africana a proposito degli obiettivi di Mosca in Africa
Questa lettura, infatti, non permette di capire come mai la Francia sia stata accolta come un’ancora di salvezza in Mali dopo l’intervento militare del gennaio del 2013, per poi lasciare il paese nove anni più tardi, accusata di tutti i problemi. Di recente, alle Nazioni Unite, la Francia è stata addirittura tacciata di collusione con i gruppi jihadisti, il colmo se consideriamo il numero di soldati francesi caduti in combattimento.
La risposta risiede in parte nella difficoltà incontrata dalla Francia nel lasciarsi alle spalle l’atteggiamento paternalista che ha caratterizzato i rapporti postcoloniali e che la fa apparire come corresponsabile di problemi endemici. A Parigi sembrano non comprendere questa realtà.
Da parte sua la Russia ha continuato a sostituirsi alla Francia ogni volta che ne ha avuto l’occasione. È il caso del Mali, dove i mercenari del gruppo Wagner operano al fianco della forze maliane al posto dei militari francesi dell’operazione Barkhane. In Burkina Faso l’arrivo degli uomini del gruppo Wagner sembra ormai prossimo.
Ma al contempo esiste una grande illusione africana a proposito degli obiettivi di Mosca in Africa. Il bilancio del gruppo Wagner in Repubblica Centrafricana (dove il gruppo è onnipresente) o in Mali è macchiato da estorsioni nei confronti dei civili e dalla predazione mineraria. La pressione dei gruppi jihadisti, con il loro codazzo di massacri, è cresciuta sia in Mali sia in Burkina Faso.
Resta il fatto che la Francia ha l’obbligo di rivedere la sua politica africana, con o senza la Russia. Paradossalmente il presidente francese Emmanuel Macron aveva cominciato il suo mandato con un viaggio a Ouagadougou, dove aveva delineato un percorso di questo tipo. Ma alla fine non è andato fino in fondo, e questo risulta incomprensibile per i giovani di Bamako o Ouagadougou.
Le contraddizioni francesi sono evidenti: Parigi “copre” la successione anticostituzionale in Ciad e si adatta alla fine del regime malsano e nepotistico in Camerun, ma sanziona i vari colpi di stato in Mali. Di conseguenza l’ex potenza coloniale diventa il colpevole ideale dell’incapacità degli stati di superare i propri problemi, una manna per tutti quelli che si nutrono delle sventure dei popoli.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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