I mondiali in Qatar hanno rivelato la divisione del mondo tra nord e sud
Arrivato il momento di stilare un bilancio, il Qatar deve porsi una domanda: i 300 miliardi di dollari investiti per il mondiale di calcio sono valsi la pena? Dal punto di vista di Doha la risposta deve per forza essere positiva, per diversi motivi.
Fino a un mese fa, alla vigilia del torneo, questa valutazione era tutt’altro che ovvia. Le polemiche imperversavano a causa degli operai immigrati morti nei cantieri, della sconvolgente climatizzazione degli stadi, dell’omofobia imperante e degli abusi dei diritti umani in questo emirato vicino ai Fratelli musulmani. Il dibattito era semplice: boicottare o non boicottare l’evento?
L’inizio del torneo ha superato le velleità di boicottaggio, soprattutto in Francia quando i Blues hanno cominciato a vincere le loro partite. Ma il dibattito ha rivelato nuovamente una divisione del mondo in due campi, che possiamo schematicamente indicare come nord e sud.
Orgoglio condiviso
Il boicottaggio, infatti, è stato discusso solo a nord. In questo caso ritroviamo una spaccatura che è emersa anche rispetto alla guerra in Ucraina. Una parte del “sud globale” è stanca delle lezioni morali dei paesi del nord, tra l’altro ex colonizzatori. Aggiungo una nota personale: anche quando hanno ragione!
Certo, tutto quello che è rimproverato al Qatar corrisponde a verità, ma una parte del mondo in via di sviluppo, a cominciare dal Medio Oriente e dal Maghreb, ha reagito in modo diverso. Prima di tutto questi paesi hanno condiviso l’orgoglio di vedere uno degli avvenimenti più popolari del mondo organizzato da uno stato a cui si sentono simili. Lo stesso sentimento è emerso nel sostegno accordato al Marocco nel suo eccezionale percorso nel torneo.
Una parte del sud non ha voluto prendere posizione nonostante le palesi violazioni della carta delle Nazioni Unite da parte della Russia
Il Sudafrica o il Brasile hanno già organizzato un mondiale, ma resta il fatto che i paesi del sud hanno sempre la sensazione di non essere legittimati. Da questo sentimento deriva l’irritazione quando gli si fanno le pulci.
Lo stesso è accaduto con la guerra in Ucraina: una parte del sud non ha voluto prendere posizione nonostante le palesi violazioni della carta delle Nazioni Unite da parte della Russia. Questi paesi ne hanno abbastanza delle ingiunzioni occidentali, anche quando sono giustificate.
Il Qatar ha beneficiato di una sorta di capitale di simpatia, dovuto sia alla qualità dell’organizzazione dell’evento sia all’ostilità di una parte dell’opinione pubblica occidentale.
Una volta enunciato questo principio non bisogna però lasciarsi ingannare. Il Qatar ha speso molto per le sue relazioni pubbliche. D’altronde è una specialità della casa. Doha ha agito soprattutto comprando influenza politica, come ha dimostrato il “Qatargate” che ha coinvolto il parlamento europeo. In quest’ottica alcune fonti ritengono che le fughe di notizie all’origine di questo scandalo siano opera dei paesi rivali del golfo, gelosi del successo del Qatar. Non è da escludere.
Ma cosa resterà al Qatar di questa esperienza? Il ricchissimo emirato produttore di gas coltiva da trent’anni un “soft power” che gli permette di giocarsela con paesi più grandi e potenti.
La creazione dell’emittente Al Jazeera, i grandi musei e la Davos del deserto vanno tutti in questa direzione. Il mondiale di calcio si aggiunge alla lunga lista. Detto questo, il Qatar dovrebbe evitare la hubris derivata dalla popolarità acquistata a colpi di milioni di dollari, perché è inevitabilmente fragile.
(Traduzione di Andrea Sparacino)