L’omicidio del giornalista Martinez Zogo scuote il regime del Camerun
Martinez Zogo, 51 anni, era un giornalista di Amplitude Fm, una radio indipendente di Yaoundé, la capitale del Camerun. Era famoso per le sue denunce contro la corruzione. Il 22 gennaio il suo corpo è stato ritrovato privo di vita e orrendamente mutilato, e da allora il Camerun è precipitato nel terrore e in una profonda crisi di regime, potenzialmente fatale.
Il 6 febbraio uno degli imprenditori più in vista del paese, Jean-Pierre Amougou-Belinga, è stato arrestato in casa sua da un centinaio di agenti delle forze di sicurezza, che prima hanno dovuto neutralizzare una decina di guardie del corpo. Amougou-Belinga è accusato di essere il mandante dell’omicidio del giornalista.
Ma non è l’unico: negli ultimi giorni sono stati effettuati numerosi arresti, tra cui quello del capo del controspionaggio camerunese insieme a diversi esponenti dei servizi segreti. L’ong Reporter senza frontiere, che ha indagato sulla situazione, riferisce di aver visionato la deposizione del direttore delle operazioni speciali di controspionaggio Justin Danwe, che avrebbe ammesso il proprio coinvolgimento. In un comunicato, l’organizzazione ha parlato di crimine di stato.
Oltre la corruzione
Altri giornalisti sarebbero attualmente minacciati, tra cui Haman Mana, direttore del quotidiano Le Jour che aveva incontrato Zogo pochi giorni prima della sua scomparsa. Zogo gli aveva confessato che qualcuno voleva ucciderlo e che Mana era il prossimo della “lista”.
La vicenda sarebbe già sordida se si trattasse solo di regolamenti di conti legati a vicende di corruzione, ma tutto lascia pensare che ci sia dell’altro. Tutto sembra indicare che questa sia solo una tappa nella guerra di successione in corso nel paese.
Il Camerun resta un paese petrolifero, agricolo e abbastanza industrializzato, che potrebbe figurare tra le locomotive del continente
Tra pochi giorni il presidente Paul Biya festeggerà i novant’anni, di cui quaranta trascorsi alla guida del paese, un record. È da tempo che Biya è un presidente “ad interim”: trascorre lunghi periodi in Svizzera e riunisce il consiglio dei ministri solo una o due volte all’anno. Queste assenze lasciano un ampio margine ai componenti della sua cerchia, che si contendono il potere, a cominciare dall’onnipotente segretario generale della presidenza Ferdinand Ngoh Ngoh.
È ancora troppo presto per capire che effetti avranno l’omicidio di Martinez Zogo e i successivi arresti sulle grandi manovre che anticipano l’uscita di scena di Biya. Ma la posta in gioco è evidentemente abbastanza alta da uccidere, denunciare e tradire.
Il Camerun è un paese chiave dell’Africa centrale. Nessuno ha interesse a vederlo sprofondare in un’instabilità ancora più grave di quella che sembra caratterizzare quest’interminabile fase finale del regno di Biya.
Il nord del Camerun, attorno alla riva del lago Ciad, deve fare i conti con i jihadisti del gruppo Boko haram. Nell’ovest anglofono è in corso ormai da anni una guerra civile sotterranea, causata dal mancato rispetto delle promesse fatte dal governo centrale. Le ricchezze del paese sono monopolizzate da un’oligarchia predatrice.
Eppure il Camerun è un paese petrolifero, agricolo e abbastanza industrializzato, che potrebbe figurare tra le locomotive del continente. Il suo destino preoccupa molto i partner, al punto tale che nel 2022 il presidente francese Emmanuel Macron si è recato nel paese rischiando di apparire come un sostenitore di Biya (che ha criticato parecchio in passato).
La settimana scorsa diverse figure importanti della diaspora camerunese hanno lanciato un appello con un articolo pubblicato sul quotidiano francese Le Monde, chiedendo un dialogo nazionale “prima che arrivi la catastrofe”. Forse, però, la catastrofe è già cominciata.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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