Il primo viaggio all’estero di Volodymyr Zelenskyj dopo l’invasione del suo paese, cominciata quasi un anno fa, lo ha portato a Washington. Il secondo, invece, è stato nelle grandi capitali europee per incontrare i 27: a Londra, a Parigi e infine, il 9 febbraio, a Bruxelles.
Evidentemente c’è una logica dietro questa sequenza. Senza gli Stati Uniti, l’Ucraina sarebbe ormai una colonia russa e Zelenskyj sarebbe prigioniero o forse morto. Ma senza l’Europa Kiev non avrebbe una famiglia disposta ad accogliere milioni di profughi, a fornire 50 miliardi di euro di aiuti in un anno e a promettere di far entrare l’Ucraina nel club non appena sarà possibile.
Detto questo, il presidente ucraino non è certo venuto in Europa per dire grazie. Al contrario, ha appena lanciato l’allarme, anche considerando che al fronte le forze ucraine subiscono una pressione sempre maggiore da parte di una Russia che punta sulla sua superiorità numerica e la sua capacità di assorbire enormi perdite. Il messaggio di Zelenskyj è sempre lo stesso: mandateci armi, armi e altre armi.
La scommessa di Kiev
Il tono è più cauto tra i responsabili occidentali che si occupano della vicenda, consapevoli che nelle prossime settimane potrebbe accadere di tutto, compresa un’avanzata russa che cambierebbe i rapporti di forza.
L’esercito di Vladimir Putin si è riorganizzato dopo la catastrofe della prima fase del conflitto, culminata nella perdita di Cherson in autunno. Oggi la Russia può contare sui rinforzi della mobilitazione parziale di settembre, con almeno 300mila uomini in più pronti a combattere, e su un comando assunto dal generale Valerij Gerasimov, capo dello stato maggiore russo.
Dopo i carri armati, la fornitura di aerei da combattimento è chiaramente la tappa successiva
Gli ucraini reggono grazie alla determinazione a difendere le loro posizioni, come accade in questo momento a Bakhmut, epicentro degli scontri più violenti. Inoltre Kiev scommette sulla superiorità degli armamenti occidentali. Da questa constatazione deriva l’appello a inviare altre armi. L’8 febbraio, a Londra, Zelenskyj ha ottenuto dal Regno Unito l’impegno ad addestrare i piloti ucraini. Dopo i carri armati, la fornitura di aerei da combattimento è chiaramente la tappa successiva.
Al termine di un anno di guerra, i leader europei ritengono che il destino dell’Ucraina e quello dell’Europa coincidano. Questo significa che i paesi europei non possono fare un passo indietro senza indebolire se stessi, dunque continueranno a sostenere l’Ucraina con armi e denaro.
Vale anche per quei leader che, come Emmanuel Macron, restano convinti che bisognerà trovare una soluzione diplomatica creando una via d’uscita per la Russia (pur ammettendo che il momento non è ancora arrivato). Uno scenario di questo tipo sarà possibile soltanto quando il rapporto di forza sarà invertito.
A Parigi giurano che nessuno vuole fare pressione su Zelenskyj affinché faccia concessioni al Cremlino, territoriali o di altra natura. D’altronde la presenza del presidente ucraino in Francia è il segno che l’Ucraina non ha perso la fiducia nell’Eliseo, nonostante alcune frasi pronunciate da Macron abbiano spesso irritato Kiev.
Zelenskyj è venuto in Europa per cercare aiuto, ma anche per fornirci le ragioni per continuare ad aiutarlo. L’Europa e l’Ucraina hanno legato i propri destini reciprocamente. È il risultato imprevisto di un anno di guerra.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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