Nell’inevitabile corsa al simbolismo, in questa settimana in cui ricorre l’anniversario dell’invasione dell’Ucraina, il primo posto va assegnato incontestabilmente a Joe Biden. A 80 anni, il presidente degli Stati Uniti è riuscito a sorprendere tutti sbarcando a Kiev la mattina del 20 febbraio, dopo dieci ore di treno dalla Polonia e mentre il resto del mondo pensava che fosse ancora a Washington.

Passeggiando in una giornata di sole per le strade della capitale ucraina, in compagnia di Volodymyr Zelenskyj e di uno straordinario dispiegamento di forze di sicurezza, Biden ha scritto una pagina della storia di questa guerra. Con la sua presenza, più che con le parole, il presidente statunitense ha manifestato la propria solidarietà con l’Ucraina in guerra.

Mosca era stata sicuramente avvertita della visita di Biden con qualche ora d’anticipo, nel quadro di quello che le autorità, usando un anglicismo, definiscono “deconfliction”, ovvero la riduzione del rischio. Difficile che in queste condizioni la Russia volesse azzardare un bombardamento di Kiev, come invece accaduto in diverse altre occasioni.

La tesi di Putin
In ogni caso Biden, che Donald Trump aveva soprannominato in modo dispregiativo “Sleepy Joe”, “Joe il sonnolento”, si è mostrato ancora una volta all’altezza della gravità della situazione internazionale e questo non può evidentemente danneggiarlo nel momento in cui esita a candidarsi per un secondo mandato.

Biden ha rubato la scena a Vladimir Putin, che il 21 febbraio dovrà pronunciare un discorso molto atteso alla vigilia dell’anniversario del conflitto. Ma soprattutto il presidente statunitense si è recato nella capitale di un paese in guerra, mentre il suo collega russo non ha mai messo piede al fronte per fare visita ai suoi soldati.

Oggi gli alleati dell’Ucraina vogliono che Mosca non abbia alcun dubbio sulla loro determinazione a scongiurare una vittoria russa

La presenza di Biden a Kiev fornisce a Putin un’argomentazione per la sua tesi secondo cui la guerra in Ucraina è uno scontro diretto tra la Russia e l’occidente. Questo approccio viene usato soprattutto sul fronte interno in Russia, ma anche per alimentare i sentimenti antioccidentali di alcuni paesi del sud.

In ogni caso l’aspetto più importante è un altro. Il messaggio che Biden invia a Putin è chiaro: non contare su una “stanchezza” degli Stati Uniti. Lo dimostra anche il fatto che Biden abbia annunciato un finanziamento di altri 500 milioni di dollari per gli aiuti miliari all’Ucraina. Nel fine settimana, a Monaco, alcuni parlamentari statunitensi (sia democratici sia repubblicani) hanno inviato lo stesso messaggio agli europei, per fugarne i dubbi.

A ogni tappa del conflitto ognuno dei due schieramenti prende decisioni in funzione delle presunte intenzioni ma anche della determinazione dell’avversario. Nel 2022, quando ha deciso di autorizzare l’invasione dell’Ucraina, Putin scommetteva su una reazione debole dell’occidente, magari con qualche sanzione ma sicuramente non con il sostegno massiccio a cui assistiamo da oltre un anno. Il presidente russo si è chiaramente sbagliato.

Oggi gli alleati dell’Ucraina vogliono che Mosca non abbia alcun dubbio sulla loro determinazione a scongiurare una vittoria russa. Questo non eviterà le prossime offensive militari, ma il Cremlino sa che non può sperare in una smobilitazione occidentale.

Il significato di questo viaggio è forte anche in Europa e soprattutto nei paesi ex comunisti, che ripongono una fiducia illimitata nella leadership statunitense e della Nato, ben più che in un’Europa che resta un cantiere aperto. Il 20 febbraio Joe Biden ha dato a questi paesi un motivo in più per credere negli Stati Uniti, senza riserve.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it