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I regimi dell’Africa centrale sono malati di corruzione

Un manifesto elettorale di Ali Bongo a Libreville, Gabon, 31 agosto 2023. (Afp)

Un video del 2010, poi cancellato dalla rete, mostrava il presidente camerunese Paul Biya circondato da altri capi di stato. La telecamera immortalava le parole del vecchio leader, che si lamentava con i suoi pari di un’inchiesta che lo coinvolgeva, chiamata “biens mal acquis” (beni ottenuti in maniera fraudolenta). Biya accusava i suoi oppositori e la stampa di essere all’origine delle indagini per corruzione. È tutto un complotto, una seccatura.

L’indagine era partita da una denuncia depositata in Francia nel 2007 da alcune organizzazioni non governative contro diversi capi di stato africani. Gli inquirenti si sono concentrati su alcuni beni immobiliari situati a Parigi e acquistati con fondi apparentemente alimentati dalla corruzione.

La scena del video assume un significato nuovo alla luce del colpo di stato che ha portato alla caduta del presidente Ali Bongo, in Gabon. La famiglia Bongo, infatti, è al centro della vasta inchiesta avviata in Francia sull’origine dei fondi che hanno permesso alle famiglie di molti leader dell’Africa centrale di possedere un immenso patrimonio immobiliare a Parigi.

L’arricchimento personale è uno degli attributi del potere, e l’Africa centrale concentra molti dirigenti citati nell’inchiesta e la cui longevità al governo si conta nell’ordine dei decenni. Al punto tale che la caduta di Ali Bongo potrebbe avere serie ripercussioni nei paesi vicini del Gabon.

Vicini e complici
Da questo punto di vista il caso della Guinea Equatoriale, piccolo paese petrolifero e membro della zona che ha come valuta il franco Cfa, è esemplare. Nel 2021 il figlio del dittatore Theodorin Obiang Nguema è stato condannato dalla giustizia francese alla confisca di beni per un valore stimato di circa 150 milioni di euro, provenienti da fondi illeciti. Del patrimonio fanno parte un immobile in avenue Foch, auto di lusso, gioielli, orologi.

Una legge francese permette allo stato di conservare i beni sequestrati con l’obiettivo di riconsegnarli in futuro al popolo dalla Guinea Equatoriale. Il regime di Malabo è sull’orlo della rottura con la Francia proprio a causa di questo procedimento, che tra l’altro è stato avviato dalle ong e non dal governo.

Nell’inchiesta sono citati altri due vicini del Gabon: il Congo-Brazzaville, dove Denis Sassou Nguesso è al potere da quasi quarant’anni, e il Camerun di Paul Biya, che guida il paese da 41 anni. Le indagini si sono concentrate su decine di appartamenti nei quartieri più esclusivi di Parigi.

Con la caduta di Bongo, i gabonesi si sono accorti della portata della corruzione. Il 31 agosto è stato diffuso un altro video che mostra valigie di denaro contante sequestrate a un dignitario del regime. L’autenticità del filmato è difficile da verificare, ma risulta comunque credibile.

Per molto tempo i regimi africani hanno puntato il dito contro il moralismo europeo o contro l’ipocrisia dei loro detrattori, anche perché in Europa i complici della corruzione non mancano di certo. Ma resta il fatto che nel bilancio degli anni di Bongo non si può ignorare il saccheggio delle risorse nazionali.

La situazione è molto simile negli altri paesi della regione, le cui strutture di potere sono analoghe e a volte legate a quelle del Gabon. La figlia del presidente congolese, per esempio, è stata una delle mogli di Omar Bongo, padre di Ali.

A questo punto emergono due interrogativi: i nuovi padroni si limiteranno a ricalibrare a proprio beneficio questo sistema corrotto? E cosa faranno le popolazioni (nonché i militari) dei paesi vicini, ormai consapevoli del fatto che la stessa “cleptocrazia” prevale anche da loro?

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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