La battaglia per il grano ucraino avvicina la guerra a un paese Nato
Un giorno qualcuno girerà sicuramente un film sulla “battaglia del Danubio”, proprio come nel 1946 René Clément ha realizzato Operazione Apfelkern raccontando la resistenza dei ferrovieri francesi durante la seconda guerra mondiale. Ma per il momento c’è spazio solo per la guerra, nella sua forma più brutale: la Russia, infatti, sta cercando di impedire all’Ucraina di esportare i suoi cereali, indispensabili per sfamare la popolazione di diversi paesi.
Il 4 settembre il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha fatto visita a Vladimir Putin a Soči, sulle rive del mar Nero, per convincerlo a ripristinare l’accordo sul grano rinnegato dal Cremlino a luglio.
Ma Putin non ha voluto cedere nemmeno davanti alle insistenze di Erdoğan, che è riuscito a ottenere solo un milione di tonnellate di cereali russi che saranno consegnati, attraverso la Turchia, a sei paesi africani alleati di Mosca, come il Mali e l’Eritrea.
Il blocco russo non permette all’Ucraina di esportare i suoi cereali (la principale ricchezza del paese) lungo il percorso più naturale, ovvero quello che dal porto di Odessa attraversa il mar Nero. Da luglio solo quattro navi sono riuscite a superare lo sbarramento. Una goccia nel mare.
Di recente i droni di fabbricazione iraniana e i missili russi si sono concentrati sulla rotta alternativa dei cerali, quella che passa per il delta del Danubio e la Romania (paese Nato) per poi proseguire verso il resto del mondo.
Ucraini e romeni cercano di rendere più efficiente un corridoio che in passato era stato trascurato
Il 4 settembre la comunità internazionale ha provato un brivido quando l’Ucraina ha annunciato che un missile russo era caduto in territorio romeno, prima che arrivasse la smentita di Bucarest. In ogni caso non si tratta di uno scenario inverosimile. Nel punto in cui il delta del Danubio si apre sul mar Nero, infatti, appena 200 metri separano l’Ucraina dalla Romania.
Da luglio i russi bombardano i porti fluviali ucraini di Reni e Izmail, situati a sudovest di Odessa e molto vicini alla Romania. Gli attacchi di Mosca hanno provocato la distruzione di strutture portuali e di scorte di cereali in attesa di essere esportati. È in questa regione che si svolge la “battaglia del Danubio”.
Dall’inizio dell’invasione russa ucraini e romeni cercano di rendere più efficiente un corridoio che in passato era stato trascurato in quanto meno pratico rispetto al mar Nero. In un anno e mezzo i tecnici hanno fatto miracoli, tanto che il porto di Reni è passato da un milione di tonnellate all’anno a un milione di tonnellate al mese.
I porti fluviali ucraini, insieme ai camion e ai treni, assicurano già adesso il 25 per cento delle esportazioni attraverso il porto romeno di Costanza, dove i carichi sono trasferiti su navi che partono in sicurezza attraverso il Bosforo. La percentuale dovrebbe aumentare, offrendo all’Ucraina un po’ di ossigeno. Questo spiega come mai la Russia abbia incrementato la sua aggressività in un angolo d’Europa che in precedenza era conosciuto solo come rifugio per i fenicotteri rosa e oggi è diventato il bersaglio dei droni iraniani.
Il rischio è che la guerra si avvicini ancora un po’ a un paese che fa parte della Nato e dunque è coperto dalla clausola di solidarietà immediata in caso di aggressione. Truppe della Nato (e in particolare un nutrito contingente francese) sono dislocate in Romania, pronte a difendere il paese. Avvicinandosi a questa frontiera, Putin sta chiaramente giocando con il fuoco.
(Traduzione di Andrea Sparacino)