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L’Europa si divide ancora sui migranti a Lampedusa

Migranti aspettano di imbarcarsi su un traghetto per lasciare l’isola di Lampedusa e raggiungere altre destinazioni in Italia, 17 settembre 2023. (Valeria Ferraro, Anadolu Agency/Getty Images)

L’Europa è alle prese con un nuovo test di coerenza e solidità. Negli ultimi anni il vecchio continente ha saputo affrontare le sfide del covid-19 e dell’invasione russa dell’Ucraina, ma ora il banco di prova è una piccola isola italiana di appena venti chilometri quadrati.

La scorsa settimana, a Lampedusa, sono sbarcati più migranti di quanti siano i residenti: circa 8.500 persone, arrivate soprattutto dalla Tunisia a bordo di duecento imbarcazioni. Per l’isola sono numeri grandi, ma è sempre il caso di contestualizzare quando sentiamo pronunciare la parola “invasione”. Siamo molto lontani dalle cifre del 2015, quando più di un milione di migranti arrivò in Europa, principalmente dalla Siria.

La vicenda è di carattere umanitario ma anche politico. Gli sbarchi rappresentano per prima cosa una sfida per la linea dura imposta da Giorgia Meloni e dalla coalizione di estrema destra al potere in Italia. Inoltre, si prestano a vari tentativi di strumentalizzazione politica in vista delle elezioni europee del giugno 2024, per non parlare degli effetti sulla già traballante strategia migratoria dell’Unione europea e sull’accordo siglato a giugno.

Il feticcio dell’estrema destra
La questione dei migranti è il tema-feticcio dell’estrema destra europea. In Francia, nel fine settimana, l’ex candidato di estrema destra Éric Zemmour si è opposto all’idea che anche un solo migrante arrivato a Lampedusa sia accolto in Francia, mentre Marine Le Pen ha partecipato a Pontida alla festa dei suoi amici della Lega, il partito guidato dal ministro delle infrastrutture Matteo Salvini.

Eppure gli esponenti dell’estrema destra europea faticano a trovare una linea unica sul tema. Meloni ha chiesto la solidarietà dell’Europa, ma fino a pochi giorni fa si trovava a Budapest, in Ungheria, per fare visita al suo alleato Viktor Orbán, che si rifiuta di aprire le porte del paese ai migranti. Nel frattempo i rapporti tra la presidente del consiglio italiana e il suo alleato Salvini non sono più quelli di un tempo. Queste tensioni complicano il progetto della costituzione di un gruppo unico di estrema destra dopo le prossime elezioni europee (al momento ne esistono tre).

Il 17 settembre la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen era a Lampedusa con Meloni per riaffermare la solidarietà dell’Europa all’Italia. È stato un gesto necessario, perché da giorni ci sono dei contrasti.

I paesi membri sono teoricamente legati da un accordo di ripartizione dei migranti arrivati in un paese di primo ingresso, ma l’applicazione di questo principio non è mai facile. Il 13 settembre, per esempio, la Germania ha annunciato che non avrebbe applicato l’accordo a causa di alcune divergenze con l’Italia. Due giorni dopo, però, Berlino ha fatto marcia indietro, dichiarando che accoglierà più di duemila persone in arrivo da Lampedusa.

Ma il problema è ancora più profondo di quanto sembri. Diciamoci la verità, nessuno possiede una soluzione miracolosa, e di sicuro non ce l’hanno tutti quelli che rilasciano dichiarazioni agguerrite. Giorgia Meloni lo ha vissuto sulla sua pelle. Di recente la presidente del consiglio è volata in Tunisia per firmare un accordo con cui l’Italia intende nei fatti appaltare la gestione dei flussi migratori a Tunisi, ma tutte le imbarcazioni arrivate a Lampedusa negli ultimi giorni erano partite proprio dalla Tunisia.

Tra la strumentalizzazione politica, il volontarismo vuoto e le false soluzioni, la questione migratoria è da decenni un tema tanto esplosivo quanto ricorrente. La speranza è che quanto meno l’Europa si dimostri fedele ai valori che difende nei propri discorsi, ricordando che, contrariamente a quanto si creda, la maggior parte dei profughi del mondo non si trova in Europa, ma in Africa, in Medio Oriente e in Asia.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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