Il dilemma degli Stati Uniti su cosa fare con l’Iran
Partiamo dal presupposto che né l’Iran né gli Stati Uniti vogliono scatenare una guerra. Questo, in ogni caso, è il postulato su cui si basano quasi tutti gli analisti dal 7 ottobre scorso. Ma partiamo allo stesso tempo da un altro principio, difficilmente contestabile, e cioè che i gruppi armati che da qualche tempo attaccano gli americani in Medio Oriente sono tutti legati a Teheran.
I due princìpi possono sembrare contraddittori, ma in realtà sono il riflesso di un mondo ambivalente e raramente fatto di bianco e nero. Questa considerazione è particolarmente valida dopo la morte di tre soldati americani il 29 gennaio a causa di un attacco di droni contro una base statunitense in territorio giordano, al confine con l’Iraq e con la Siria.
Joe Biden ha accusato l’Iran di controllare i gruppi che hanno condotto l’attacco e ha promesso una risposta, nel momento in cui gli Stati Uniti lo decideranno e secondo le modalità che preferiranno. L’Iran ha cercato di prendere le distanze, negando ogni responsabilità.
Si tratta dei primi morti statunitensi dal 7 ottobre in un atto di guerra. Due militari avevano perso la vita nel Mar Rosso, ma la causa era stata l’annegamento e non un’azione del nemico. In piena campagna elettorale per le presidenziali, la vicenda negli Stati Uniti ha assunto una valenza politica. Ora i repubblicani chiedono a Biden di colpire l’Iran.
Prima di tutto bisogna capire qual è la posta in gioco di questa crisi per gli Stati Uniti. Dopo il 7 ottobre, Biden ha dispiegato forze rilevanti nella zona, comprese due portaerei: l’obiettivo era dissuadere l’Iran dall’idea di approfittare della guerra tra Israele e Hamas per muovere le sue pedine.
Da allora è in corso un’escalation controllata ma continua tra Hezbollah e Israele nel sud del Libano, mentre altre forze vicine a Teheran, a cominciare dagli Houthi yemeniti nel Mar Rosso e dalle milizie sciite in Iraq e Siria, sono entrate in azione.
Cosa vuole Teheran
Negli ultimi tre mesi gli americani hanno subìto circa 160 attacchi in Iraq, in Siria, nel Mar Rosso e ora in Giordania, rispondendo a più riprese (soprattutto in Yemen e in Iraq), ma senza riuscire a bloccare gli attacchi.
Ma dopo questo attacco mortale bisognerà appunto capire cosa farà Washington per scongiurare la guerra con l’Iran, che Biden vuole evitare a ogni costo.
La vera questione, a questo punto, riguarda le intenzioni di Teheran. Pur non volendo uno scontro diretto con gli Stati Uniti, infatti, l’Iran cerca di imporre la propria influenza attraverso quello che chiama “l’asse della resistenza”, che va dai gruppi armati in Yemen alla Striscia di Gaza passando per l’Iraq, la Siria e il Libano. Teheran è impegnata in una manovra di delicato equilibrismo che consiste nell’indebolire Israele e gli Stati Uniti senza però scivolare in una guerra regionale.
La risposta americana è altrettanto delicata, perché l’ultima cosa che Biden vorrebbe in un anno elettorale è un’altra guerra sanguinosa dopo quelle dei decenni precedenti in Iraq e Afghanistan.
Il presidente statunitense cercherà di ristabilire una forza di dissuasione colpendo gli alleati dell’Iran in modo sempre più duro, ma senza entrare in guerra con Teheran.
Il problema è che più questa crisi regionale andrà avanti e più sarà difficile non oltrepassare il Rubicone, anche accidentalmente. È il gioco pericoloso in atto nella regione, parallelamente e in collegamento diretto con la tragica guerra di Gaza.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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