Un antidoto contro le nuove manipolazioni del potere
Un film dopo l’altro, Rithy Panh, regista nato in Cambogia che ha trascorso la gioventù in un campo di rieducazione all’epoca dei khmer rossi (1975-1979), ha esplorato la follia di un regime che ha provocato la morte di due milioni di persone. Ora Panh è tornato con un nuovo lungometraggio, Rendez-vous avec Pol Pot, presentato di recente all’ultimo festival di Cannes.
Nel film, Panh non affronta tanto la macchina di morte messa in piedi dai khmer rossi – ne ha parlato in S21, il suo documentario più famoso – quanto la presa ideologica del regime e la sua capacità di manipolare il mondo esterno. L’opera è ispirata a un libro della giornalista statunitense Elizabeth Becker, che nel 1978 è stata insieme a pochi altri testimone della follia dei khmer rossi.
In Rendez-vous avec Pol Pot, una giornalista, un fotografo e un militante comunista che ha conosciuto Pol Pot alla Sorbona – il dittatore cambogiano ha davvero studiato a Parigi – sono invitati nella Kampuchea democratica, com’era stata ribattezzata la Cambogia.
Senza svelare troppo la trama, dico solo che il momento chiave arriva con un faccia a faccia tra il militante francese, ancora legato alle sue illusioni, e il Fratello numero uno, com’era soprannominato il suo amico Pol Pot. È in quel momento che il film tocca un punto universale.
La vera lezione dell’opera, che è anche una lezione di storia, riguarda infatti la presa ideologica e la cecità che così spesso spingono persone oneste a cadere nelle pieghe dei totalitarismi.
I khmer rossi sono un buon esempio di questa cecità. D’altronde facevano parte della galassia dei movimenti di guerriglia comunisti in Indocina a cui apparteneva anche il Fronte di liberazione nazionale vietnamita, che la guerra statunitense ha proiettato verso l’avanguardia anti-imperialista al punto da trasformare i suoi esponenti in eroi per parte dell’occidente. Il 17 aprile 1975 la vittoria dei khmer fu elogiata in prima pagina dal quotidiano francese Libération: “La bandiera della resistenza sventola a Phnom Penh”. Le Monde fu altrettanto entusiasta.
Il seguito è tristemente noto. Lo zoccolo duro del movimento era costituito da estremisti che volevano costruire una nuova società uccidendo quella vecchia, letteralmente. È questa volontà senza scrupoli che gli spettatori di Rendez-vous avec Pol Pot scoprono progressivamente.
L’universalità di questo concetto risulta evidente in un momento in cui l’ideologia sembra tornata in prima linea e in cui rischiamo per l’ennesima volta di confondere una causa legittima con chi sostiene di incarnarla, senza fare le dovute valutazioni.
Il film di Panh è un invito a rimanere lucidi davanti al potere delle parole, al distacco rispetto a tutte le ideologie e alla vaccinazione contro le manipolazioni. Soprattutto nell’epoca dei social network, che sicuramente i khmer rossi avrebbero sfruttato abilmente per vendere la loro nuova società costruita su un genocidio. In questo senso Rendez-vous avec Pol Pot, più che un film, è un antidoto salutare.
(Traduzione di Andrea Sparacino)