La minaccia di una guerra nella penisola coreana è più seria che mai
È una delle caratteristiche del periodo che stiamo vivendo: i conflitti congelati o in fase di gestazione si accendono improvvisamente. Il motivo è semplice. Le Nazioni Unite sono emarginate e nel mondo non ci sono più arbitri né gendarmi, dunque i predatori si sentono incoraggiati.
Dal 14 ottobre la penisola coreana si è aggiunta all’elenco delle zone calde del pianeta, con la denuncia da parte della Corea del Nord di un volo non autorizzato sui cieli della capitale da parte di droni sudcoreani, che avrebbero sganciato alcuni volantini. Il regime di Pyongyang annuncia di aver messo in stato di massima allerta le unità di artiglieria alla frontiera, che ora sono pronte a sparare.
La Corea del Nord ha l’abitudine di mettere in scena escalation militari, con lanci sperimentali di missili o parate minacciose, ma senza mai passare ai fatti. Ora, però, gli esperti di questioni coreane ritengono che non bisogna prendere alla leggera le ultime manovre. Seoul si dichiara pronta a rispondere a qualsiasi attacco. Il governo sudcoreano non ha confermato l’operazione con i droni, come del resto nessuna organizzazione privata, diversamente da quanto successo in passato con i palloni aerostatici di propaganda che avevano creato diversi problemi.
Qualche mese fa Robert Carlin e Siegfried Hecker, due ex funzionari statunitensi esperti di questioni coreane, hanno pubblicato un’analisi secondo cui la situazione nella penisola è la più grave dal 1950, ovvero dallo scoppio della guerra di Corea, primo conflitto della guerra fredda finito nel 1953 con un armistizio, ma senza un trattato di pace. Questo significa che tecnicamente le due Coree sono ancora in stato di guerra.
Carlin ed Hecker sono convinti che l’attuale leader coreano Kim Jong-un, come suo padre Kim Il-sung, abbia “preso la decisione strategica di scatenare una guerra”, e aggiungono prudentemente: “Non sappiamo quando e come Kim Jong-un premerà il grilletto, ma il pericolo va ben oltre i soliti avvertimenti di Washington, Seoul e Tokyo contro le ‘provocazioni di Pyongyang’”.
Dopo la pubblicazione dell’analisi dei due esperti ci sono stati diversi momenti di tensione, compreso lo strano episodio dei palloni aerostatici pieni di escrementi inviati dal nord verso il sud, di cui uno è atterrato nella residenza presidenziale a Seoul. Tuttavia la guerra non è mai sembrata vicina.
Cos’è cambiato ora? Il contesto internazionale, ovviamente. La Corea del Nord si è riavvicinata alla Russia ed è coinvolta nella guerra in Ucraina con l’invio di munizioni ma anche, secondo il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj, di personale militare. È un’accusa che resta da verificare, ma si tratterebbe di una partecipazione di rilievo.
Il contesto è anche quello del riavvicinamento tra Stati Uniti, Corea del Sud e Giappone in opposizione alla Cina e di conseguenza alla Corea del Nord. Potenza nucleare conclamata, la Corea del Nord non apprezza queste alleanze tra i suoi avversari.
Infine non possiamo dimenticare che fra tre settimane si svolgeranno le elezioni statunitensi. Tra il 2018 e il 2019 la luna di miele fra Trump e Kim Jong-un si era conclusa con un fallimento, e da allora sono ripresi gli attacchi nordcoreani contro l’imperialismo. Cosa accadrebbe se Trump fosse rieletto il 5 novembre?
Per tutti questi motivi la penisola coreana attraversa un periodo imprevedibile, con un regime del nord che possiede decine di testate nucleari e obbedisce solo alla propria logica. Il pericolo è evidente.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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