A un recente evento sui diritti delle donne organizzato da un’agenzia internazionale per la difesa dei diritti umani, i relatori avevano notizie gravi: la situazione delle donne non è molto migliorata nell’ultimo anno, anzi le donne sono nella stessa posizione di svantaggio degli anni passati.
I relatori sapevano che la loro era una litania triste, perciò l’hanno mitigata distribuendo colpe a destra e a manca: lo stato penoso in cui vive metà della popolazione del paese, norme culturali e tribali primitive che con i loro diktat, oggi attuati in modo insidioso grazie ai telefoni cellulari, infliggono la morte per una risata o un applauso; le leggi che non vengono applicate, come nel caso di familiari complici delle morti di ragazze accusate di aver smarrito la retta via.
Poi l’evento si è concluso e tutti sono andati a casa; la loro coscienza, se anche ne avevano una, era per il momento a posto e soddisfatta all’idea di aver fatto il proprio dovere, di aver fatto la propria parte per aiutare le donne in Pakistan.
Un’unica conclusione
E questo per quanto riguarda chi partecipa a eventi del genere, ma la maggior parte dei pachistani, donne comprese, fa anche meno: gli studenti che assistono a una lezione sull’argomento strabuzzano gli occhi con insofferenza, perché lo trovano astratto e incapace di toccare le loro vite. Mariti o mogli o ospiti a cena, fanno ancora meno; le femministe, se ce n’è qualcuna, sono tollerate, sono una presenza disarticolata, gente fastidiosa, sospettosa, guastafeste agli occhi del buon vecchio divertimento misogino che consente a tutti di spassarsela.
In qualsiasi altro paese risultati del genere solleverebbero preoccupazione o sdegno. In Pakistan sono semplice routine, o nemmeno quello
Non tutti naturalmente se la spassano, e i numeri sono lì a dimostrarlo. Secondo il Forum economico mondiale, il Pakistan si trova al penultimo posto nel mondo per quanto riguarda i diritti delle donne e l’uguaglianza di genere. Per stilare questa classifica si prende in considerazione una serie di indicatori tra cui la presenza di leggi e la loro applicazione, la presenza di donne in politica e nel mondo del lavoro, l’accesso alle cure mediche, eccetera. Tutti questi dati conducono a un’unica conclusione, e cioè che la vita per le donne pachistane è un inferno.
Sorrisi incollati
In qualsiasi altro paese simili risultati provocherebbero preoccupazione o sdegno. In Pakistan sono semplice routine, o nemmeno quello. Nei giorni successivi alla pubblicazione di questa classifica e di altri dati relativi alla violenza contro le donne (sì, è in aumento), pochi sembravano curarsene. Nessuno, nemmeno le donne, colpite nelle vite e nei corpi con l’acido, omicidi d’onore, roghi nuziali e ogni sorta di violenze domestiche.
Nei programmi del mattino, dove matrone con sorrisi incollati al viso e dita impegnate a giocherellare con i capelli si sono mostrate categoriche nei loro giudizi sugli uomini e le loro tante mogli, non è stata detta una parola su questa classifica vergognosa. In fondo dovevano andare in onda i tutorial sul trucco, piatti gustosi da preparare e giudizi emettere sulle capacità di altre donne di essere adeguatamente sottomesse.
A garantire che niente di tutto ciò cambi c’è un intero sistema di educazione delle bambine
Prendersela con le vittime – e sì, ogni donna pachistana, a prescindere dal numero di figli che ha avuto, dalle ricchezze conservate nelle casse di suo padre, dalla momentanea devozione dimostrata dal marito, prima o poi sarà una vittima – probabilmente è ingiusto. Al comando c’è una generazione di uomini che detestano a tal punto le donne da non preoccuparsi della loro cancellazione dal governo, dalla politica, dai ruoli dirigenziali, e in generale da qualsiasi compito, lavoro, decisione o ruolo che gli piacerebbe assumere.
A garantire che niente di tutto ciò cambi c’è un intero sistema di educazione delle bambine (almeno di quelle a cui viene consentito di nascere). L’ideale pachistano di “brava” ragazza è quello di colei che affida di buon grado e fiduciosamente la sua vita agli uomini. Se si ribella a queste premesse una ragazza e poi una donna sarà etichettata come “cattiva” sia dagli altri sia dalla sua stessa coscienza. Poche donne vogliono essere “cattive”, perciò tutte loro sono profondamente tristi, pur fingendo di non esserlo.
La schiavitù accettata
Le persone più sfortunate in Pakistan sono quelle che non accettano il sistema di bugie e sottomissione su cui si basa qualsiasi ruolo sociale, qualsiasi opportunità professionale. Non sono solo donne: anche gli uomini, i padri di figlie maltrattate, i fratelli e i figli di donne divorziate o abbandonate, piangono in silenzio e di nascosto per la preoccupante condizione in cui vive metà della popolazione in Pakistan.
Le donne piangono e si commiserano a loro volta, ma raramente esprimono il loro sdegno in pubblico; una donna sposata con un uomo che detesta schernirà quella che non ha figli, quella con una casa grande farà pettegolezzi su quella che vive in un appartamento; l’intero armamentario della condizione femminile pachistana viene schierato per garantire che la popolazione conquistata continui a essere spenta e senza pretese, anestetizzata da programmi mattutini e da inviti ai matrimoni, fino a scivolare nell’oblio.
Gli articoli sui diritti delle donne scritti alla fine del 2018 sono uguali a quelli scritti qualche anno o qualche decennio fa. La realtà a quanto pare è che, se si esclude una piccolissima parte della popolazione, pochi hanno la capacità di comprendere quanto disperata sia la situazione. Metà della popolazione del Pakistan è, in forme diverse, schiava dell’altra metà, e tutti sembrano accettarlo.
(Traduzione di Giusy Muzzopappa)
Questo articolo è stato pubblicato dal quotidiano pachistano Dawn.
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