L’esplosione nel porto di Beirut, che ha causato più di duecento morti e seimila feriti, potrebbe cambiare la storia politica del Libano. La tragedia ha ridato spinta al movimento di protestache dal mese di ottobre del 2019 cerca di rimuovere l’intera classe politica del paese. L’anno scorso, quando l’economia nazionale è crollata sotto il peso insostenibile del debito e dell’inefficienza della classe politica, molti libanesi hanno capito di essere ormai poveri ed emarginati nel loro stesso paese, costretti a sopravvivere senza alcuna assistenza, senza i servizi statali basilari e con poche speranze per il futuro.

Dal 7 agosto decine di migliaia di cittadini manifestano per le strade. La loro sfiducia e la loro rabbia nei confronti del governo, la cui incompetenza e il disinteresse per il benessere della gente comune ha creato le condizioni perché la tragedia del porto si verificasse, ha raggiunto nuove vette. I cappi che venivano agitati durante le proteste dimostrano quanto sia profondo il disgusto della popolazione per un’élite che per decenni ha dominato il paese e ha trascinato l’intera economia nazionale in un abisso di debito e bancarotta. Gli assalti e le occupazioni dei ministeri e delle istituzioni pubbliche fanno capire che le persone vogliono assumere il controllo diretto della nazione e non hanno intenzione di permettere ai soliti politici criminali di riprendere in mano le redini del potere.

Lo slogan “tutti vuol dire tutti” è diventato ancora più carico di significato, incanalando la rabbia delle persone nei confronti di tutte le forze politiche. I manifestanti, tra l’altro, hanno dato prova di un inedito atteggiamenti critico verso il partito sciita Hezbollah, definendolo una “mafia” e una “banda di ladri e criminali”. Il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, si è accodato al presidente Michel Aoun nel rifiutare un’inchiesta internazionale sull’esplosione nel porto, ed è sembrato simile agli altri politici quando ha dichiarato che il suo partito non sapeva niente della presenza del nitrato di ammonio nei magazzini.

Assistiamo alla forza irresistibile di una cittadinanza impoverita e scesa in strada per abbattere una struttura di potere che si rifiuta di farsi da parte

Gli eventi degli ultimi giorni hanno allontanato il crudele passato recente, evidenziando i pochi centri del potere nel paese che in futuro si scontreranno o più probabilmente faranno delle trattative per un nuovo sistema di governo.

Probabilmente assisteremo a nuove manifestazioni di protesta. I cittadini continueranno a contestare lo stato, che sicuramente reagirà militarmente fino a quando, nei prossimi mesi, lo scontro finirà. Questa settimana, per esempio, la popolazione ha chiesto ai finanziatori stranieri di non affidare al governo gli aiuti umanitari, nel timore che vengano sottratti, rivenduti o spartiti tra i lealisti settari.

I cittadini hanno inviato il loro messaggio e hanno evidenziato le crepe all’interno dell’élite al governo. Il 9 agosto diversi parlamentari e ministri del governo si sono dimessi a causa delle pressioni della piazza, seguiti il giorno successivo dagli altri ministri e dallo sfortunato premier Hassan Diab. In questo modo il governo ha formalizzato la propria mancanza di autorità di fronte ai cittadini.

Il Libano sta vivendo la stessa dinamica che ha segnato altri paesi arabi dopo il 2010, con la forza irresistibile di una cittadinanza impoverita e scesa in strada per abbattere una struttura di potere che si rifiuta di farsi da parte. Come in Sudan, Algeria, Siria, Egitto, Iraq e altrove, la popolazione esausta e umiliata del Libano ha dovuto scontrarsi con un regime militarizzato.

La struttura di potere del Libano è diversa da quelle di tutti gli altri paesi arabi, ed è ancora più difficile da riformare. I principali partiti confessionali – sunniti, cristiani, drusi e altri – hanno dimostrato che sanno reagire alle minacce: fanno finta di fare un passo indietro, ma poi tornano in gioco, si spartiscono di nuovo il controllo del governo e continuano ad accumulare ricchezze.

Il ruolo di Hezbollah
Gli eventi dell’anno scorso hanno screditato i principali partiti agli occhi della maggioranza dei libanesi, compresi alcuni sostenitori di quegli stessi partiti. Ora quei politici sembrano incapaci di aggirare la richiesta di un cambiamento strutturale. Forze come il Movimento patriottico libero del presidente Aoun e il Movimento il Futuro di Saad Hariri possono governare solo con il sostegno di Hezbollah, come abbiamo potuto constatare negli ultimi anni.

Hezbollah però rappresenta qualcosa di molto diverso. L’organizzazione è più potente dello stato sul piano militare e più coesa di qualsiasi altro partito settario. Inoltre è legata strutturalmente all’Iran, alla Siria e ad altri partiti del fronte della “resistenza” regionale. Hezbollah opera soprattutto dietro le quinte, attraverso alleanze mutevoli con i gruppi cristiani, sciiti e sunniti che hanno fatto parte dei diversi governi sostenuti dall’organizzazione nel corso degli anni.

È possibile che il Libano sia entrato in una fase in cui i due gruppi più potenti sono Hezbollah e il movimento di protesta, disorganizzato ma probabilmente inarrestabile, che vuole sostituire l’attuale struttura di potere con un sistema di governo più democratico e basato sullo stato di diritto.

Se i manifestanti riusciranno a sfruttare l’immenso supporto popolare per dar vita a un processo politico efficace, potrebbero davvero sconfiggere e rimuovere le élite del potere, per poi organizzare elezioni parlamentari con la supervisione di gruppi indipendenti. In questo modo verrebbero raggiunti due dei principali obiettivi della protesta. È probabile che assisteremo a un negoziato intenso per la creazione di una nuova legge elettorale non confessionale che possa permettere un ritorno al voto e successivamente l’elezione di un nuovo presidente e la costruzione di un sistema di governo completamente rinnovato. Questo processo, idealmente, dovrebbe essere gestito da un governo di emergenza formato da tecnici rispettati, il cui obiettivo sarebbe solo quello di stabilizzare l’economia e aiutare una popolazione allo stremo.

Senza dubbio molti esponenti dell’élite si opporranno a questo scenario, ma probabilmente, se rispetterà una serie di criteri, Hezbollah lo accetterà. L’organizzazione non permetterà allo stato libanese di sgretolarsi e non vuole governare il Libano da sola, ma allo stesso tempo non ha intenzione di cedere le sue sofisticate armi che per due volte hanno costretto Israele a un cessate il fuoco e hanno messo in piedi un meccanismo di deterrenza al confine tra Israele e Libano.

Quindi la grande sfida per i manifestanti e per tutti i libanesi è quella di fare un compromesso con Hezbollah che permetta a un governo serio di assumere il potere per un lungo periodo di transizione, dando il via alla rinascita del paese e tenendo le divisioni di Hezbollah momentaneamente fuori dal tavolo del negoziato. Se tutto questo succederà davvero e arriverà il giorno in cui i libanesi chiederanno a Hezbollah di rinunciare alle sue strutture militari autonome, forse sarà possibile che queste vengano gestite dal ministero della difesa.

Molti libanesi hanno valutato questa e altre possibilità per anni, ma senza mai trovare un consenso. Questa difficoltà ha permesso al vecchio sistema di governo di sopravvivere così a lungo, spalleggiato da Hezbollah. Il risultato è un paese devastato. Ora per la maggior parte dei libanesi è arrivato il momento di rifiutare l’eredità lasciata da funzionari inetti e corrotti con la complicità di Hezbollah e dei suoi sostenitori esterni.

Siamo alla resa dei conti. L’élite politica non ha più nulla da rubare alla popolazione, la popolazione non ha più pazienza e vuole impiccare i leader politici. Hezbollah, dal canto suo, deve definire una nuova strategia che possa avvantaggiare l’organizzazione ma anche i libanesi in rivolta.

Il Libano non ha altra scelta se non quella di riformare il suo sistema politico incorporando Hezbollah nella sua rete nazionale per la difesa. L’élite ha ripetutamente fallito e la popolazione si è ribellata. I libanesi non si fermeranno fino a quando non avranno riconquistato la loro dignità e la loro partecipazione civica, creando finalmente uno stato degno di questo nome.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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