In Iraq e in Libano resta la voglia di cambiamento
Molto è cambiato eppure nulla è cambiato in Libano e in Iraq, dopo un anno di proteste senza sosta dei cittadini contro la classe dirigente. Il messaggio principale che viene dai due paesi è che aumentano la povertà e la disperazione mentre le élite al potere sempre più militarizzate concedono piccole riforme senza rinunciare al potere. In questo lungo stallo, che riguarda anche altri paesi arabi, l’economia e lo stato rischiano di collassare. Le proteste in Algeria, Sudan e Giordania riflettono le stesse dinamiche delle rivolte irachene e libanesi, che sono la prosecuzione di un decennio di proteste cominciato con le rivoluzioni in Tunisia ed Egitto nel 2010 e 2011.
Libano e Iraq però meritano particolare attenzione, perché i loro sistemi di governo sono definiti da identità e organizzazioni politiche confessionali. La manipolazione straniera ha formalizzato questi sistemi di spartizione del potere su base confessionale, prima con i francesi in Libano quasi un secolo fa, poi con gli Stati Uniti in Iraq dopo l’invasione del 2003. Una delle grandi lezioni del 2020 è quanto sia solida la politica confessionale ai vertici della società, a dispetto dei cittadini che dal basso hanno cominciato a superare le identità religiose o etniche a favore di un’identità nazionale.
I libanesi e gli iracheni chiedono di smantellare l’intero sistema di governo confessionale e di rimpiazzarlo con un nuovo parlamento in cui ci sia spazio anche per i partiti non settari. Nei mesi passati in piazza a protestare molti giovani hanno sperimentato un nuovo senso dell’identità libanese o irachena, relegando alla sfera privata la propria identità religiosa, che sia cristiana, sciita, sunnita, drusa o altro.
I giovani sono consapevoli che i loro leader confessionali li hanno traditi, lasciandoli scivolare nella povertà e nella disperazione
Le dinamiche che in futuro potrebbero plasmare la vita politica sono due: da una parte questi giovani sono consapevoli che i loro leader confessionali li hanno traditi, lasciandoli scivolare nella povertà e nella disperazione. Dall’altra, hanno incontrato per la prima volta i loro concittadini di altre religioni e zone del paese, hanno scoperto di soffrire le stesse privazioni in termini di lavoro, reddito, acqua, elettricità e altri beni essenziali. Anche quelli tra i manifestanti che hanno dominato o monopolizzato il potere nei decenni recenti (gli sciiti in Iraq e sciiti, sunniti e cristiani in Libano) comprendono che il sistema confessionale di spartizione del potere ha prodotto incompetenza e corruzione su vasta scala, e quindi va cambiato.
Eppure in entrambi i paesi le proteste di piazza non sono riuscite a imporre cambiamenti strutturali. La risposta principale dei governi è stata violenta. Reparti di polizia ed esercito hanno disperso le manifestazioni con lacrimogeni, cariche e colpi d’arma da fuoco, arrestando decine di persone, mentre i teppisti organizzati dai partiti confessionali riducevano in cenere gli accampamenti di piazza, picchiavano o addirittura uccidevano i leader della contestazione: in Iraq sono morte 700 persone, qualcuna anche in Libano, e ci sono stati migliaia di feriti.
Parallelamente ai tentativi di fermare le proteste lo stato ha offerto delle concessioni, in particolare la revisione della legge elettorale, la nomina di nuovi ministri, correzioni dei bilanci e la convocazione di elezioni parlamentari anticipate che potrebbero ridurre il dominio dei partiti confessionali. Nessuna di queste iniziative ha convinto i cittadini.
Tra aprile e giugno la pandemia ha interrotto le grandi proteste e ha accelerato le tensioni economiche in entrambi i paesi. Ma intanto i cittadini si sono ulteriormente impoveriti, mentre i governi non fanno niente per migliorare le loro condizioni di vita; così le manifestazioni sono riprese.
Lo stallo politico continua perché i poteri dominanti per decenni si sono consolidati attraverso il favoritismo e le reti clientelari, fondendo il loro nucleo confessionale con alleanze politiche di diversa appartenenza (è il caso dell’alleanza tra gli sciiti di Hezbollah e il partito cristiano del presidente Michel Aoun in Libano). Anche le influenze e i capitali stranieri ostacolano la destituzione delle élite dominanti, che godono del sostegno dell’Iran, dell’Arabia Saudita o di altre potenze regionali.
Le rivendicazioni politiche dei manifestanti rivelano un coraggio nuovo. Nei villaggi e nelle comunità i cittadini lavorano insieme per aiutare i bisognosi attraverso banchi alimentari o piccole donazioni, per ricostruire strutture distrutte e soddisfare altri bisogni sociali. Gruppi di esperti progettano sistemi migliori di governo preparando proposte di riforme. Le donne giocano un ruolo decisivo, sgretolando tradizioni vecchie di secoli che hanno privato la vita pubblica della potenza creativa e intellettuale di metà della popolazione. Molte cose sono cambiate nelle popolazioni del Libano e dell’Iraq, ma poco è cambiato ai vertici dei loro stati. Almeno per ora.
(Traduzione di Francesco De Lellis)
Questo articolo è uscito sul numero 1380 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati