La Grecia divisa dal referendum
Come ha scritto sinteticamente l’ex direttore del Corriere della Sera Ferruccio De Bortoli, nella sola giornata di ieri sui mercati finanziari sono stati “bruciati” (le virgolette sono obbligatorie) più soldi di quelli che l’intera Grecia deve (dovrebbe, anche qui il condizionale è d’obbligo) rimborsare alla comunità internazionale.
Il conto non sarà precisissimo, e certamente al lunedì nero seguiranno giornate più tranquille in cui i capitali “bruciati” rifioriranno. Ma varrebbe la pena di riflettere su questo dato; dovrebbe farlo anche chi pensa tutto il male possibile del giovane premier ellenico Alexis Tsipras, della sua politica e delle sue decisioni.
A maggior ragione se – come pare di capire facciano tanti commentatori di casa nostra, sempre molto italocentrici – quando parlano della crisi dell’euro e di Tsipras in realtà pensano a Maurizio Landini.
Il conto alla rovescia è partito. Oggi a mezzanotte (ora italiana) scade il termine per il rimborso di 1,6 miliardi di euro che la Grecia dovrebbe dare al Fondo monetario internazionale.
Domenica 5 luglio invece si dovrebbe tenere il decisivo referendum promosso dal governo ellenico (anche se nelle ultime ore ci sono voci di ripensamenti ad Atene sull’ultima offerta del presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker). Un voto su cui certamente punta tutte le sue carte il premier Tsipras: ieri sera, al termine di una giornata convulsa, in una intervista televisiva non casualmente concessa alla rete pubblica da poco riaperta Ert, il leader di Syriza ha chiesto ai greci una netta vittoria degli ochi, i “no”, promettendo che questo non significherebbe l’uscita dall’euro, ma anzi al contrario la possibilità di rinegoziare su basi più vantaggiose una possibile intesa per lasciare la Grecia nell’eurozona.
In caso contrario, ha fatto capire chiaramente che se prevarranno i sì, si dimetterà dalla carica di presidente del consiglio.
Con la vittoria dei nai, dei “sì”, comincerebbe una fase caotica: Tsipras e il ministro delle finanze Yanis Varoufakis, pur dimissionari in quanto sconfessati dai loro stessi cittadini, andrebbero a Bruxelles a siglare il nuovo memorandum di sacrifici con i creditori. C’è da scommettere che Syriza in quel caso cercherebbe di andare a nuove elezioni, possibili nel giro di un mese; l’Europa, i creditori e le forze politiche attualmente all’opposizione tenteranno di evitare le elezioni, lavorando per costituire un governo di salvezza nazionale, che per avere la maggioranza nel parlamento, però, dovrebbe ricevere l’appoggio di un buon numero di deputati di Syriza. Difficile.
Un’interferenza senza precedenti nella storia europea
In prospettiva futura, a guidare una Grecia dove prevalesse il fronte del sì, in questo momento più che Antonis Samaras, l’ex premier e leader di Nea dimokratia (un po’ bollito, e tutto sommato screditato in patria e all’estero) ci sarebbe Stavros Theodorakis, l’ex giornalista televisivo del network privato Mega e fondatore del partito “indipendente” di centro To Potami (Il Fiume, che ha ottenuto solo il 6 per cento alle ultime elezioni politiche).
Coccolatissimo dalle reti tv private (tutte di proprietà di importanti magnati ostili al governo, e chiaramente schierate per il sì), negli ultimi giorni Theodorakis ha moltiplicato i suoi incontri con i leader europei, dal presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker in giù. Non pervenuta, invece, Fofi Genimmata, la nuova leader del Pasok, il Partito socialista che fu di Andrea e Yorgos Papandreou ma che appare in caduta libera.
In teoria, era sembrato che dopo il gran rifiuto di Tsipras, la “generosa offerta” (firmata Angela Merkel) delle “istituzioni” europee e del Fondo monetario fosse stata ritirata dal tavolo. Dunque non avrebbe avuto senso alcuno il referendum, e tantomeno una vittoria dei sì.
Paradossalmente nella giornata di ieri – ricca di emozioni e di colpi di scena – la decisione dei pesi massimi dell’Europa di scendere in campo apertamente contro Tsipras sembra aver riaperto i giochi del negoziato. I leader di Francia, Germania e Italia, François Hollande, Angela Merkel e Matteo Renzi, hanno uno dopo l’altro spiegato che il referendum di domenica è una scelta netta tra l’euro e la dracma, invitando di conseguenza i greci a votare sì per accettare un altro po’ di “riforme” e di austerità pur di restare nell’eurozona. Dunque, l’accordo (nella sua ultima versione) sarebbe ancora sul tavolo.
Ma a sentire diversi osservatori ellenici, la discesa in campo a favore del sì dei grandi leader europei e del presidente della Commissione, il lussemburghese Jean-Claude Juncker (che ha tacciato apertamente Tsipras di essere un bugiardo), non è stata una mossa particolarmente astuta.
La mattinata di lunedì era stata segnata in modo drammatico dal panico derivante dallo stop alle banche e dal tetto massimo di 60 euro per i prelievi giornalieri. La confusione e la paura si erano diffuse velocemente, spingendo la gente a dare l’assalto ai distributori di benzina e in qualche caso anche ai supermercati.
Tutti fattori che insieme alla naturale e comprensibile paura di un salto nel buio farebbero certamente prevedere una chiara vittoria dei sì. Il fatto è che notoriamente i greci sono anche ferocemente orgogliosi e nazionalisti, si sentono un paese importante e detestano l’idea di essere eterodiretti da Bruxelles e dalle capitali europee. A maggior ragione in questo caso: non si era mai verificata nella storia dell’Europa una tale palese interferenza esterna in un pronunciamento elettorale di uno stato membro.
Perciò, in serata, alcune misure prese dal governo hanno vagamente tranquillizzato la popolazione: oggi i pensionati potranno ritirare le loro pensioni (anticipate dalle Poste) in 850 banche, e ad Atene i mezzi pubblici saranno gratuiti fino a domenica. A Syriza sono fiduciosi, i no vinceranno.
Sondaggi affidabili sul possibile esito del voto per ora non ce ne sono. E non è nemmeno detto che ce ne saranno: alle ultime elezioni tutti gli istituti prevedevano uno-due punti di margine tra Syriza e Nea dimokratia. Furono dieci. Quanto alle piazze, anche qui è difficile ricavare indicazioni: ieri sera erano circa ventimila in piazza Syntagma a manifestare a sostegno del governo e del no. Mentre stasera il catino davanti al parlamento sarà occupato dai “filoeuropei” di Menoume Evropi (Stiamo in Europa), ovviamente schierati a favore del sì. Fare previsioni plausibili è veramente dura.