Con tutti quei giovani in jeans che vogliono sempre intervenire, AnnoUno, il nuovo programma televisivo prodotto da Michele Santoro e condotto da Giulia Innocenzi, sembrava più un’assemblea liceale che un talk show. Tutti parlano, nessuno ascolta. Un’arena politica che non porta da nessuna parte, ma serve a far saltare la lezione.
Nonostante i nuovi ritmi, la sigla iniziale del musicista israeliano Asaf Avidan, la scelta innovativa di realizzare per la prima volta un dibattito in tv senza il politico di turno, tuttavia il programma è pur sempre un talk show e quindi l’unico dio che conta è quello della notorietà.
Con un microfono in mano e il cellulare nell’altro, scarpe da ginnastica o tacchi a spillo, i ragazzi sembrano concentrati a fare una buona battuta che possa essere twittata, più che a rendere brillante il dibattito. I partecipanti al talk show hanno la testa dentro i tablet, e sembra di avere a che fare con una persona annoiata, immersa nel suo telefono durante una cena.
E così, mentre dei ragazzi qualsiasi si chiedevano chi di loro sarebbe andato a dormire avendo inventato l’hashtag più popolare e cosa si sarebbe detto il mattino dopo, divertiti o forse imbarazzati dalla richiesta di dare del tu a Matteo Renzi, forse euforici nel poter raccontare di aver risposto a tono (“Matteo, io non ti ho interrotto, ora fammi finire”), ai telespettatori era chiaro che, nonostante gli sforzi, non avevano visto niente di nuovo.
Alla domanda della prima puntata “Dobbiamo avere paura?” non è stata data nessuna risposta. O forse era solo una domanda retorica. Il problema non sono gli estremismi e i razzismi, ben raccontati dalle interviste per strada. Ma il fatto che le parole dette in trasmissione restano parole e, come in un assemblea studentesca, vengono presto dimenticate e tutti tornano a casa. Nello pseudomondo dei tablet e degli smartphone.
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