Sono 3.419 i morti in mare da gennaio a oggi nel tentativo di raggiungere l’Europa, 21.439 negli ultimi venticinque anni, secondo i dati di Fortress Europe, l’osservatorio delle vittime dell’immigrazione. Quest’anno le partenze hanno superato ogni record: 207.000 da gennaio, secondo l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr). La guerra in Siria, l’instabilità in Libia, la dittatura in Eritrea gonfiano i flussi e spingono molti a fuggire.

Tra coloro che sono partiti, quasi due su cento non sono arrivati. Sono vittime degli scafisti, dei “mercanti di morte”, dicono e ripetono i nostri responsabili politici. Ma la retorica ufficiale rischia di confondere le cause con le conseguenze. Gli scafisti esistono perché la traversata è illegale. E la traversata è illegale perché a partire dal 1995 molti stati dell’Unione hanno ratificato la convenzione di Schengen, che ha trasformato l’Europa in una fortezza a cui si accede solo per vie tortuose e clandestine.

Quindi chi scappa dalla guerra deve mettersi nelle mani degli scafisti, spendere molto di più di un biglietto aereo e rischiare di affogare, salvo poi venire accolto quando e se arriva a destinazione. Quelle degli ultimi anni sono vittime di Schengen, non degli scafisti. Forse i nostri nipoti leggeranno nei libri di storia che a cavallo tra il ventesimo e il ventunesimo secolo migliaia di persone in fuga dalla guerra sono morte in mare, uccise semplicemente da una frontiera.

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