“Il confine europeo è un muro che dobbiamo scavalcare”. Così descriveva l’ingresso nell’Unione un giovane siriano incontrato in Turchia, che cercava di raggiungere la zona Schengen per ricostruirsi una vita lontano dalle bombe.

Durante il nostro viaggio lungo la frontiera europea abbiamo visto muri sempre più alti, mari chiusi, spazi blindati. Al confine tra la Turchia e la Bulgaria, tra il Marocco e l’enclave spagnola di Melilla, nella francese Calais, da dove i migranti cercano di raggiungere il Regno Unito, in mezzo al mar Mediterraneo e all’aeroporto di Fiumicino, la frontiera somiglia al fronte di una guerra che l’Unione europea combatte con strumenti ultratecnologici: sensori, telecamere termiche, radar e droni. Ogni mezzo serve a impedire l’accesso degli intrusi, che tecnicamente sono definiti “irregolari”. E, come ogni guerra, anche questa ha le sue vittime: secondo la stima ufficiale (probabilmente prudente) dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), nel Mediterraneo nel 2014 ci sono stati 3.419 morti.

Borderline, la serie di sei reportage video pubblicata a partire da oggi su Internazionale, prova a raccontare ogni settimana questo confine che si attorciglia su se stesso, si fa ostacolo e blocca persone in fuga da conflitti e persecuzioni. Se analizziamo i dati, vediamo che chi cerca di arrivare in Europa viene soprattutto da paesi in guerra come la Siria, o sottoposti a brutali dittature come l’Eritrea e il Gambia.

Non forniamo ai migranti mezzi di accesso legale e gettiamo i profughi nelle mani degli imprenditori del trasporto clandestino

Tutte persone che, una volta entrate in Europa, ottengono l’asilo politico o la protezione umanitaria. È il grande paradosso: cerchiamo di bloccare un flusso che poi riteniamo legittimo. Non forniamo ai migranti mezzi di accesso legale e gettiamo i profughi nelle mani degli imprenditori del trasporto clandestino.

Un documento storico
Le persone conosciute lungo questi spazi amorfi che sono i confini si aspettavano un’Europa accogliente. Invece si sono confrontate con situazioni al limite del sostenibile: le truffe degli scafisti, i respingimenti violenti, i furti dei piccoli criminali. I più ostinati – o i più fortunati – ce l’hanno fatta. Gli altri languono ancora in un limbo d’indeterminatezza.

Questi video, realizzati con il sostegno dell’Open society foundations, hanno un obiettivo ambizioso, ma necessario: proporre una mappatura del confine europeo che sia anche un documento storico. In modo che tra venti o trent’anni i nostri figli e nipoti possano ricordarsi di come, tra la fine del ventesimo secolo e l’inizio del ventunesimo, l’Europa abbia deciso di considerare l’altro un pericolo invece che una ricchezza.

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