Possiamo dare un significato positivo all’internazionalismo? Sì, ma a condizione di voltare le spalle alla fede cieca nel libero scambio che finora ha guidato la globalizzazione per adottare un nuovo modello di sviluppo, basato sulla giustizia economica e climatica. Questo modello dovrà essere internazionalista negli obiettivi finali, ma sovranista nelle sue applicazioni pratiche: ogni paese, ogni comunità politica, dovrebbe poter stabilire le condizioni di scambio con il resto del mondo senza attendere l’accordo unanime dei suoi partner. Il compito non sarà semplice, e questo sovranismo universalista non sarà facile da distinguere dal sovranismo nazionalista. Per questo è importante chiarire le differenze.
Supponiamo che un paese, o una maggioranza politica, pensi che sia giusto introdurre un’imposta progressiva sui redditi e i patrimoni più alti per ridistribuire la ricchezza a favore dei più poveri, e allo stesso tempo voglia finanziare un programma d’investimenti in campo sociale, scolastico e climatico. Mettiamo che, per raggiungere gli obiettivi, il governo voglia introdurre una ritenuta alla fonte sugli utili societari e un sistema di catasto finanziario che permetta d’identificare i titolari di azioni e dividendi e quindi di applicare le aliquote stabilite a livello individuale. Il tutto sarebbe integrato da un lato da una carta individuale sulle emissioni di CO2 per incoraggiare i comportamenti più responsabili, dall’altro da una tassazione che penalizzi le emissioni più alte e i beneficiari dei profitti delle aziende più inquinanti; anche in questo caso, sarebbe necessario conoscere l’identità dei titolari.
Architetture obsolete
Purtroppo, questo tipo di catasto finanziario non è previsto dai trattati sulla libera circolazione dei capitali degli anni ottanta e novanta, in particolare dall’Atto unico del 1986 e dal trattato europeo di Maastricht del 1992, testi che hanno influenzato quelli adottati nel resto del mondo. Questa architettura giuridica, in vigore ancora oggi, ha stabilito il diritto di arricchirsi usando l’infrastruttura di un paese e poi di fare clic su un tasto e trasferire i propri beni in un’altra giurisdizione, senza che siano rintracciabili. È vero: dopo la crisi del 2008, quando gli eccessi della deregolamentazione finanziaria sono diventati evidenti, l’Ocse ha introdotto gli accordi sullo scambio automatico delle informazioni bancarie. Ma queste misure, che sono su base puramente volontaria, non prevedono sanzioni per chi non le rispetta.
Supponiamo che un paese voglia accelerare il passo e decida d’introdurre una tassazione ridistributiva e un catasto finanziario. Mettiamo che uno dei paesi vicini non condivida questo sistema e applichi un’aliquota bassa sui redditi e sulle emissioni di CO2 delle aziende con sede nel suo territorio, rifiutando allo stesso tempo di trasmettere informazioni sui loro proprietari. In queste condizioni il primo paese dovrebbe imporre al secondo delle sanzioni commerciali a seconda dei danni fiscali e climatici causati.
Studi recenti hanno dimostrato che queste sanzioni produrrebbero un gettito considerevole e incoraggerebbero altri paesi a cooperare. Naturalmente queste sanzioni si applicherebbero solo in caso di concorrenza sleale e di mancato rispetto degli accordi sul clima. Ma questi ultimi sono vaghi, mentre i trattati sulla libera circolazione delle merci e dei capitali sono così restrittivi (soprattutto a livello europeo) che un paese che intraprendesse questa strada avrebbe buone probabilità di essere condannato dagli organismi internazionali. In quel caso l’unica soluzione sarebbe uscire unilateralmente da quei trattati, proponendone di nuovi.
Qual è la differenza tra il sovranismo sociale ed ecologico e il sovranismo nazionalista (trumpiano, cinese, indiano) basato sulla difesa dell’identità nazionale e di interessi considerati omogenei al suo interno? Ce ne sono due. Innanzitutto, prima di adottare possibili misure unilaterali, è fondamentale proporre ad altri paesi un modello di sviluppo cooperativo, basato su valori universali: giustizia sociale, uguaglianza, ecologia. Secondo, è necessario definire quali sarebbero le assemblee transnazionali (come l’Assemblea parlamentare franco-tedesca istituita nel 2019) che dovrebbero essere responsabili dei beni pubblici globali e delle politiche comuni. Anche se queste misure social-federaliste non dovessero essere prese in considerazione subito, l’approccio unilaterale dovrà comunque essere sempre considerato un incentivo e in ogni caso reversibile. Lo scopo delle sanzioni è incoraggiare altri paesi a uscire dalla concorrenza sleale e climatica, non istituire un protezionismo permanente.
Questo percorso non è affatto facile ed è tutto da inventare. La storia, tuttavia, dimostra che il nazionalismo porta solo ad aggravare le disuguaglianze e a peggiorare le tensioni sul clima, e che la fede cieca nel libero scambio non ha futuro. Una ragione in più per riflettere su un nuovo internazionalismo.
(Traduzione di Fabrizio Saulini)
Questo articolo è uscito sul numero 1367 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati
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