Anche se la valutazione del patrimonio immobiliare non residenziale dello stato italiano è di 368 miliardi di euro, solo un decimo non è occupato dalle amministrazioni pubbliche e quindi può essere venduto. Si tratta di circa 42 miliardi. Poi c’è il patrimonio liquido dello stato, pari a 55 miliardi.

È bene chiedersi se nelle attuali condizioni di mercato valga la pena venderlo, anche perché è la componente patrimoniale con il rendimento più alto: intorno al 5,5 per cento, contro lo 0,5 per cento del resto del patrimonio gestito da stato, regioni ed enti locali. La vendita di beni pubblici può sembrare una risposta efficace alla crisi del debito, ma è meglio non nutrire troppe speranze. Il vero problema del nostro patrimonio pubblico immobiliare è che rende troppo poco a causa di sprechi e inefficienze.

Ai dipendenti pubblici, per esempio, è destinato uno spazio fisico superiore rispetto ai privati: quasi 50 metri quadrati a dipendente contro 20. I costi della nostra politica sono anche nella gestione clientelistica del patrimonio pubblico, che invece potrebbe fruttare intorno al 5-6 per cento all’anno. Sommando il patrimonio fruttifero di stato, regioni ed enti locali, si raggiungono 600 miliardi, che potrebbero portare al bilancio pubblico 30 miliardi all’anno contro i cinque attuali.

Occorrerebbe dare in gestione i beni a una società, possibilmente con la supervisione europea per vincere le resistenze delle lobby locali. L’obiettivo dovrebbe essere la valorizzazione del patrimonio e la destinazione automatica e obbligatoria dei proventi alla riduzione del debito.

Internazionale, numero 924, 18 novembre 2011

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