Secondo uno studio dell’Unione europea, nel 2009 il 10,5 per cento delle imprese dei ventisette paesi dell’Ue dichiarava di voler aumentare gli investimenti nell’innovazione. Tra il 2006 e il 2008 (l’anno del fallimento della banca d’affari Lehman Brothers) la quota era del 40 per cento.

Diversamente da quanto si possa pensare, in Italia gli investimenti nell’innovazione non sono crollati. Certo, molte aziende non sono riuscite ad aumentarli come facevano negli anni precedenti alla crisi. Ma comunque non sono neanche diminuiti. Bisogna ricordare, però, che partivamo da livelli molto bassi. Come sottolineano su lavoce.info Daniele Archibugi e Andrea Filippetti, l’attività innovativa delle aziende dipende dalle loro caratteristiche specifiche. In tempo di crisi l’innovazione è considerata essenziale per rilanciare l’economia. Ma i governi italiani sono sempre stati indifferenti all’argomento.

Ora la fretta di mettersi al riparo dalla crisi del debito pubblico concentrandosi solo sulle misure d’austerità rischia di peggiorare la dinamica recessiva. Occorre quindi facilitare l’accesso delle piccole e medie imprese alle linee di credito, diminuire il peso fiscale e il costo del lavoro.

Non è semplice, ma è l’unico modo per incentivare le imprese a innovare e a sostenere la crescita del paese. Le politiche a breve termine sono utili per contrastare gli effetti immediati della crisi, ma se si vuole garantire un processo di crescita durevole, bisogna mantenere elevato il livello degli investimenti nella ricerca e nell’innovazione.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it