Secondo la ragioneria dello stato, l’approvazione della proposta Damiano per la modifica della riforma pensionistica costerebbe alle finanze pubbliche trenta miliardi di euro in dieci anni. L’ex ministro del welfare Cesare Damiano propone di ampliare la platea degli esodati e di introdurre una serie di scalini per consentire ai lavoratori di 58 anni di andare in pensione con 35 anni di contributi fino al 2017.

Sarebbe un clamoroso passo indietro, perché la riforma della ministra Elsa Fornero ha rappresentato una svolta, dando un segnale di rigore e attenzione all’equità intergenerazionale. Certo, la riforma delle pensioni può essere sicuramente migliorata. Bisogna correggere le iniquità introdotte dai governi precedenti, come la tassa sulla totalizzazione di contributi versati ad amministrazioni diverse nel corso della carriera lavorativa. E, soprattutto, bisogna trovare una soluzione per gli esodati e gli esodandi, rendendo la riforma più flessibile per quanto riguarda l’età di pensionamento. Una buona soluzione sarebbe l’applicazione di riduzioni attuariali pari a circa il 2-3 per cento in meno per ogni anno che precede il raggiungimento della nuova età pensionabile.

Tornando indietro, invece, trascineremmo il paese in una nuova crisi di credibilità, finendo inevitabilmente per ampliare, invece di ridurre, il numero di cittadini che perdono il posto di lavoro con più di 55 anni di età. Questa è un’emergenza sociale che non può essere certo affrontata riportando il paese sull’orlo del baratro.

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