Il sindacato statunitense Veba possiede ancora il 41,5 per cento del capitale della Chrysler. Per comprare questa quota, Fiat sta trattando su un prezzo che oscilla fra i tre e i cinque miliardi di dollari, una differenza non piccola. A breve un tribunale del Delaware dovrebbe esprimersi sul valore di una quota del 3,3 per cento del capitale della Chrysler, fissando un valore di riferimento per l’intero pacchetto.

Come ha osservato Fabiano Schivardi su

lavoce.info, i soldi richiesti per l’operazione sono solo una piccola parte dell’investimento necessario. Infatti servirà una ristrutturazione del debito contratto durante la fase di salvataggio della casa automobilistica. Inoltre, il piano di riposizionamento di Fiat-Chrysler nel segmento medio alto della domanda di autovetture ha costi rilevanti: saranno necessari molti investimenti nella progettazione, nel marketing e nella riqualificazione degli impianti.

E siamo molto lontani dalla cosiddetta “soglia Marchionne”, quei sei milioni di autoveicoli all’anno necessari per essere competitivi nel mercato automobilistico. Soglia più volte evocata dall’amministratore delegato del gruppo torinese. Dobbiamo quindi aspettarci altre operazioni di acquisizione-fusione?

Se è così, non bisogna sottovalutare i nuovi rischi: la struttura finanziaria dell’impresa nata dalla fusione potrebbe essere troppo fragile, con poca liquidità e un alto indebitamento. In vista di altre potenziali aggregazioni, la differenza tra una struttura finanziaria solida e una fragile potrebbe essere la stessa che c’è tra una preda e un predatore.

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