Il 40 per cento degli insegnanti italiani ha più di 54 anni e andrà in pensione nei prossimi dieci anni. Il decreto legge sulla scuola approvato dal consiglio dei ministri ne ha preso atto e, di conseguenza, il settore scolastico non sarà ulteriormente sacrificato per garantire il pareggio di bilancio.
È un segnale di svolta rispetto ai governi precedenti. Tuttavia, come osserva Daniele Checchi su
lavoce.info, emergono anche alcune ombre. Innanzitutto, quali canali di selezione per le immissioni in ruolo saranno usati, visto che già oggi molte graduatorie sono di fatto esaurite? Inoltre, con quale criterio sarà stabilito dove distribuire gli insegnanti di sostegno? Poi c’è un terzo e più importante problema: perché eliminare all’ultimo momento il bonus maturità nella formazione delle graduatorie per le ammissioni alle facoltà a numero chiuso?
La questione non riguarda tanto le modalità di calcolo, che ovviamente sono tutte discutibili, ma il fatto che per la prima volta si era preso atto di un fallimento sistemico della scuola secondaria, cioè la perdita della capacità di segnalazione del voto di maturità, e si cercava di porvi rimedio.
Se il voto di maturità avesse un valore oggettivo di comparabilità orizzontale, tra scuole e tra territori, potremmo finalmente fare a meno della serie infinita di test di ammissione ai corsi universitari, che stanno alimentando l’industria degli estensori di test e dei preparatori. Non è detto che il test Invalsi in quinta superiore sia in grado di risolvere il problema.
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