Dopo il taglio di un quarto di punto da parte della Banca centrale europea (Bce), il tasso d’interesse dell’eurozona è ai minimi storici: lo 0,25 per cento. La Bce ha risposto con una rapidità inconsueta ai dati più recenti sui prezzi. Il brusco calo dell’inflazione (dall’1,1 per cento di settembre allo 0,7 per cento di ottobre) segnala per l’eurozona il pericolo di deflazione: un calo generalizzato dei prezzi che potrebbe causare una riduzione dei consumi, dal momento che le persone aspettano a comprare nell’attesa che scendano ancora.
Il taglio è giusto, ma non illudiamoci che risolva i mali dell’Europa. Deprezzerà l’euro, ma la competitività di un paese dipende anche dalla capacità di innovare, di aumentare la produttività e ridurre i costi delle imprese. Servono questi e molti altri interventi per rilanciare l’economia. Inoltre, come osserva Angelo Baglioni su
lavoce.info, resta il problema del credito. La Bce ha annunciato che continuerà fino alla metà del 2015 a fornire liquidità illimitata a tasso fisso al sistema bancario. Ma non basterà a superare la frammentazione del mercato finanziario europeo, che dipende dal rischio paese e si riflette nel famoso spread.
La Bce prevede – giustamente – che l’esame dei bilanci bancari potrà dare un contributo positivo: peccato che i risultati saranno resi noti tra un anno. Stessa cosa per quanto riguarda l’unione bancaria: di quel progetto si intravvede solo il tassello della vigilanza assegnata alla Bce. Gli altri due – il meccanismo unico di gestione delle crisi e l’assicurazione europea dei depositi – passano da un rinvio all’altro. Bisogna fare in fretta.
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