L’importo medio della retta mensile massima negli asili nido pubblici italiani è di 394 euro. Nelle strutture private la media sale a 487 euro. Secondo un recente studio del ministero del lavoro, nel 2008-2009 la retta massima di alcuni comuni ha toccato i settecento euro.

A cosa è dovuta la variazione, spesso abissale, tra i diversi comuni?  La differenza si spiega in parte con le politiche redistributive (cioè con gli scaglioni tariffari stabiliti in base alle risorse economiche della famiglia): le regioni del nord attuano un criterio di redistribuzione più marcato rispetto a quelle del centrosud. Le prime della classe sono il Trentino-Alto Adige e l’Emilia-Romagna, mentre i fanalini di coda sono la Calabria e il Molise.

Le altre variabili che influiscono sulle tariffe sono legate alla partecipazione femminile ai processi decisionali e al mercato del lavoro. Come dimostra lo studio di Alessandro Bucciol, Laura Cavalli, Paolo Pertile, Veronica Polin e Alessandro Sommacal su

lavoce.info, i comuni amministrati da una donna e quelli dove la partecipazione femminile al mercato del lavoro è più alta evidenziano una maggiore attitudine alla redistribuzione.

Non riveste nessuna influenza a livello statistico, invece, il partito di appartenenza del sindaco. Se si tiene presente che oggi quasi un quinto dei bambini italiani vive in nuclei familiari al di sotto della soglia di povertà, ci capisce perché le politiche dell’infanzia sono ancora più indispensabili. Per non dire fondamentali.

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