Nel 2012 l’Italia ha versato all’Unione europea sedici miliardi di euro e ne ha ricevuti undici. Tre miliardi sono costituiti dai fondi strutturali che Bruxelles distribuisce alle regioni meno sviluppate attraverso il Fondo sociale europeo (Fse), che si occupa di formazione e inclusione, e il Fondo europeo per lo sviluppo regionale (Fesr), che si occupa di sussidi alle imprese e infrastrutture.
Il nuovo ciclo di programmazione europeo per il settennato 2014-2020 prevede che all’Italia siano destinati 41 miliardi, di cui oltre 24 alle regioni del sud. A questa cifra si aggiungeranno cofinanziamenti italiani per circa ottanta miliardi. Come spiegano Roberto Perotti e Filippo Teoldi su
lavoce.info, il cofinanziamento non responsabilizza chi usa i fondi, perché avviene attraverso la fiscalità generale gestita dallo stato mentre i soldi comunitari (e i cofinanziamenti) sono spesi dalle regioni. Ma il fatto più grave è che questi interventi non sono esaminati.
Nel caso dell’Fse, tra il 2007 e il 2011 sono stati prodotti 280 documenti a questo scopo, ma nessuno dà una vera valutazione dei progetti. Valutare gli effetti di un progetto significa innanzitutto definirne gli obiettivi in un modo misurabile e collegato alla sua attuazione. Significa poi raccogliere sistematicamente informazioni per diversi anni non solo su chi ha beneficiato dell’intervento, ma anche su chi, trovandosi in condizioni uguali o molto simili, non è stato coinvolto. Comparando gli esiti di questi due gruppi, si potrà stabilire il contributo del progetto al raggiungimento dell’obiettivo. Nulla di tutto questo è stato fatto.
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