Il dibattito sul disegno di legge Cirinnà ha il suo punto focale nell’articolo 5, che riguarda l’adozione del figlio del partner (in Italia indicata con l’equivalente inglese “stepchild adoption”).
Per le coppie eterosessuali sposate, questo particolare tipo di adozione esiste per legge già dal 1983; dal 2007 i tribunali l’hanno estesa anche ai conviventi. Serve a tutelare un minore allevato da una coppia entro cui uno solo è il suo genitore legale, mentre l’altro è il nuovo compagno del genitore.
Chi è contrario a estendere l’adozione del figlio del partner alle coppie dello stesso sesso evoca soprattutto il pericolo che così si incentivi la pratica della gestazione per altri o gpa (o maternità surrogata, benché con la maternità c’entri poco, o utero in affitto, come la chiamano i suoi avversari). Pratica che questo schieramento considera del tutto aberrante, e che in Italia è duramente sanzionata dalla legge 40 del 2004.
Pratica che tuttavia un certo numero di coppie di uomini attua all’estero: tornando poi in patria con un figlio che legalmente ha un solo padre (e nessuna madre).
Evitare le semplificazioni
Se fosse possibile adottare il figlio del partner omosessuale, dicono i contrari, il numero di coppie gay che seguono questa strada si moltiplicherebbe a dismisura.
Questa è un’argomentazione potente e molto interessante, a cui si è risposto sostanzialmente in due modi.
Primo, nel merito: aprendo un dibattito sulla valenza etica della gestazione per altri. Dibattito che prima o poi andava affrontato. Ma la questione è immensamente complessa, e proprio per questo, mentre ticchetta il conto alla rovescia del ddl Cirinnà, si presta alle più corrive semplificazioni.
Secondo, nel metodo: osservando semplicemente che non è giusto che per scoraggiare una scelta riproduttiva (peraltro legittima, se compiuta nei paesi che la consentono) si colpiscano i bambini che ne sono frutto. E che è cinico negare i loro diritti per “educare” altri aspiranti padri gay.
Il numero di coppie gay e lesbiche che scelgono di diventare genitori è in crescita esponenziale
Anche perché in questo modo si colpirebbe un numero assai più grande di figli di coppie lesbiche. Quelle interessate dall’articolo 5, infatti, sarebbero soprattutto coppie di donne. Tantissime madri che hanno alle spalle matrimoni eterosessuali, e tante coppie lesbiche che hanno scelto di avere figli con le tecniche procreative appropriate (che sono assai più accessibili di una gpa).
I quattro quinti dei genitori iscritti all’associazione FamiglieArcobaleno sono donne. Tutto lascia credere che fuori dell’associazione la percentuale sia di nove decimi.
Su questo secondo punto, però – il metodo – occorre dire di più. Si è sprecato un sacco di tempo a disquisire sulla legittimità etica della gpa, e si è tralasciato il quesito che sarà posto ai parlamentari: negare la possibilità di adottare il figlio del partner servirà davvero a scoraggiare la gestazione per altri?
È molto improbabile.
Il numero di coppie gay e lesbiche che scelgono di diventare genitori è in crescita esponenziale. I soci di Famiglie Arcobaleno, e i nuovi nati, aumentano a un ritmo frenetico (in un paio d’anni sono entrambi raddoppiati.) E ovviamente, solo una frazione delle famiglie omogenitoriali è iscritta all’associazione.
Di qui la necessità di regolare per legge un processo che esiste e non scomparirà, anzi si diffonderà. Ma al di là di questa considerazione pragmatica, occorre capirlo, il processo.
Certamente la gpa, come tutte le forme di procreazione assistita, è anche un fenomeno commerciale. Ma non è vissuto come tale dagli aspiranti genitori, etero (la maggioranza) o gay. E questo ha il suo peso.
Ognuno giudicherà a suo modo il desiderio omosessuale di diventare padri o madri. Amore per la vita, egoismo, riscoperta della famiglia, conformismo, riconoscimento di una dimensione affettiva lungamente negata… Ma anche un osservatore avverso deve ammettere che si tratta di qualcosa di profondamente sentito.
Occorre abbandonare l’idea che una coppia gay sia ‘naturalmente’ sterile
Se anche fosse un capriccio, sarebbe uno di quei capricci che si possono soddisfare solo con un enorme impegno di tempo, affetti, denaro, visibilità, responsabilità, e libertà personale.
Per un Elton John (e povero Elton John, che a causa dei suoi miliardi deve necessariamente passare per un imbecille superficiale!) ci sono centinaia di persone – ne ho conosciute – che si indebitano con i parenti, ipotecano la casa, risparmiano sul bilancio familiare, viaggiano in luoghi remoti, dribblano i truffatori, costruiscono rapporti con persone sconosciute, tornano in un paese in cui ciò che hanno fatto è un reato, perdono vecchi amici e se ne cercano di nuovi, imparano un ruolo che per anni avevano pensato di non dover mai affrontare… in poche parole: cambiano totalmente vita.
Ciò che le spinge non è un impulso leggero, mutevole. Secondo alcuni è un impulso sbagliato: ma certamente non è passeggero. Sarebbe assurdo pensarlo.
Sarebbe ingenuo pensare che queste persone, che tra l’altro appartengono a un gruppo da sempre privato di diritti, si lasceranno scoraggiare dal fatto che i loro figli avranno meno diritti degli altri.
Politiche autoritarie
Sono padri che lotteranno per ottenere giustizia per i loro figli, certo. Ma intanto continueranno a farli nascere. Sempre di più.
Qualsiasi opinione si abbia riguardo alla genitorialità omosessuale o alla gpa, se si vuole semplicemente capire ciò che sta accadendo e ciò che può accadere occorre abbandonare l’idea (omofobica, ma non è questo il punto) che una coppia gay sia “naturalmente” sterile.
Se si continua a pensarlo, il desiderio di genitorialità gay appare incomprensibile: una fissazione o un capriccio o una moda, qualcosa che è alimentato da una mera logica commerciale e che per questo motivo si può contenere o estinguere.
Ma le cose non stanno così. Sempre più spesso la coppia omosessuale maschile si considera alla stregua di qualsiasi coppia etero con problemi riproduttivi.
Le tecniche di procreazione assistita, inclusa la gpa, hanno modificato la coscienza degli omosessuali in modo irreversibile. Oggi lesbiche e gay si pensano come potenziali madri e padri. Continueranno a pensarsi genitori e a fare figli, con o senza questa o quella tecnologia procreativa.
E il tentativo di controllare questa marea montante somiglia sempre meno alle vecchie pratiche di repressione spicciola della marginalità deviante, e sempre più alle politiche autoritarie di controllo della natalità.
Nella storia i governanti natalisti hanno dovuto imporsi con la forza: altro che “incentivi”. Ma le politiche del figlio unico e le sterilizzazioni di massa, dopo aver prodotto drammi terribili, sono state aggirate o abbandonate. Il desiderio di avere figli, in chi ce l’ha (etero o gay), non si lascia domare facilmente.
Il fatto è che fare bambini non funziona allo stesso modo di altre scelte di vita. Per questo non ha molto senso chiedersi come “incentivare” o “disincentivare” la procreazione. Nessuno, in realtà, pensa il fare figli come l’acquisto di un’automobile.
È una scelta totale. Non a caso quei popoli e quelle comunità che soffrono di privazioni e discriminazioni, e sanno benissimo che ne soffriranno anche i loro figli, sono proprio quelli che si riproducono con più abbandono, senza curarsi delle conseguenze. È qualcosa che sfugge al calcolo utilitario.
Vietare l’adozione del figlio del partner non inciderà sulla gestazione per altri. Ho deliberatamente evitato di giudicarla. La gpa è una questione seria e complessa. Si può farne un reato internazionale, ipotesi che mi sembra davvero impraticabile; si può continuare a vietarla in Italia, costringendo gli aspiranti genitori a praticarla all’estero; si può regolamentarla in vario modo.
Ciò che non si può né vietare né regolare è il desiderio che la muove: un desiderio profondo, profondamente umano, che non si lascerà piegare da ricatti sui diritti dei figli. Saranno solo i figli a rimetterci.
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