Un depliant turistico che ho trovato la settimana scorsa alle Fiji dichiarava con orgoglio che adesso anche l’arcipelago ha la sua zona umida di importanza internazionale, come prevede la convenzione di Ramsar: è l’Upper Navua conservation area.
I turisti potranno godersi le bellezze dei canyon e delle foreste pluviali navigando sul fiume. Le discese delle rapide in gommone sono già cominciate.
I siti Ramsar sono zone umide: fiumi, laghi, paludi, tutti luoghi dove si possono trovare uccelli e altri animali acquatici. Il nome deriva dalla conferenza che si svolse nel 1971 nella città iraniana di Ramsar. Oggi esistono più di 1.700 siti Ramsar in oltre 150 paesi.
Alcune zone dove non ci aspetteremmo di trovare degli acquitrini hanno molti siti Ramsar. L’Algeria – ma non è quella del deserto del Sahara? – ne ha 42 e l’Australia, che soffre da tempo di siccità ed è il continente più arido, ne ha 64. L’anno scorso ho visitato in Australia il magnifico Kakadu national park.
Vedendo tutte quelle cascate, fiumi, paludi e le enormi popolazioni di uccelli si capisce che l’Australia è ricca di importanti zone umide. L’Italia ha 50 siti Ramsar, tra questi anche la laguna di Venezia.
Il Botswana ha un solo sito Ramsar, il delta dell’Okavango, ma è uno dei più famosi. L’acqua che invade questo delta arriva dai fiumi Kavango e Cuito, che nascono in Angola. La varietà della fauna selvatica attira molti turisti. Per molto tempo l’Okavango (53mila chilometri quadrati) è stato il più grande sito Ramsar del mondo.
Oggi il titolo spetta al Queen Maud Gulf, in Canada, che nel 1905 l’esploratore norvegese Roald Amundsen chiamò così in onore della regina Maud di Norvegia. E Ramsar? È una tranquilla località balneare sul mar Caspio.
Internazionale, numero 748, 13 giugno 2008
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