L’altro giorno ho dovuto ascoltare la prova di stampa in vinile del mio nuovo album. Serve a verificare che suono avrà il disco, così ci si siede in silenzio davanti agli altoparlanti e, ignorando completamente le canzoni, si valuta la qualità complessiva dell’album e si tendono le orecchie per individuare rumori di fondo eccessivi, e saltelli della puntina e fruscii indesiderati. Trattandosi di vinile, i saltelli e i fruscii ci sono. Ma sono davvero indesiderati? Già, questo è il problema.

Il vinile ha avuto un revival, lo avrete letto. E una parte di me non può fare a meno di pensare che sono stati proprio quegli schiocchetti e quei fruscii a tornare di moda, assicurandosi un posto nel cuore della gente come una sorta di marchio di autenticità. Il rumore sordo della puntina che si posa sul solco, il leggero sibilo prima che cominci il primo pezzo. Rumori che, se avete l’età giusta, vi trasportano di colpo indietro nel tempo ai vostri primi dischi.

Io li adoravo quei miei vinili, eppure li trattavo malissimo. Li maneggiavo senza nessuna cura, lasciandoli per terra nel disordine della mia camera, tra vestiti smessi, copie di NME (New Musical Express) e tazze di tè. Li raccoglievo con dita appiccicose e lasciavo che la lacca per capelli si depositasse sui solchi, formando una patina. E poi li suonavo sul giradischi Dansette anni sessanta di mio fratello. Chissà se avrò mai sostituito la puntina? Probabilmente no.

Posare il disco sul piatto di un giradischi e abbassare la puntina è un gesto reverenziale

Per il mio diciottesimo compleanno, nel 1980, mi hanno regalato un music center, un giradischi multifunzionale che era un gradino più su ma ancora abbastanza rudimentale. Solo quando ho incontrato Ben ho scoperto che si potevano avere un piatto e un amplificatore separati, con manopole per regolare alti e bassi, che Ben aveva impostato adattandoli ai suoi gusti personali. Così, ogni volta che metteva sul piatto un album di Eno o il pezzo degli Chic At last I am free, il suono scintillava come argento, nella stanza. Non avevo mai considerato la qualità sonora di un disco prima di allora, il mio era un gradimento puramente emotivo. È stata una vera rivelazione.

Se la nostalgia del vinile tra le persone della mia età è legata al ricordo della giovinezza, credo che l’entusiasmo dei giovani abbia più a che fare con l’idealizzazione di un’epoca che li ha preceduti: un’età perduta in cui la musica era novità e controcultura. Attraverso il vinile sperano di ricatturare quell’innocenza. Ricoperti di polvere di stelle e oro cercano anche loro di tornare nel giardino dell’eden.

Due dei nostri figli hanno comprato un giradischi e saccheggiato la nostra collezione di vinili, andando a ripescare Nico, Bowie, Velvet Underground e Joni Mitchell. In questo momento, dalla camera del più piccolo sento arrivare le note di Transmission dei Joy Division, e mi chiedo se stia suonando il vecchio 45 giri di Ben o il mio. A questo punto, l’idea del disco come manufatto – come qualcosa di tangibile da tramandare – acquista un senso. Sono felice che quel singolo sia sopravvissuto. È una specie di colla che ci tiene insieme.

Ma per quelli di noi che fanno ancora dischi, il ritorno al vinile è un po’ una scocciatura. Le fabbriche che stampano dischi in vinile scarseggiano e le liste d’attesa producono ritardi di mesi tra la fine della registrazione e l’uscita di un disco. Io vorrei finire un disco e vederlo nei negozi il giorno dopo.


L’altra ragione per cui a volte sono scettica su questo revival è che mi ricordo quando il vinile e le cassette erano le uniche opzioni. Quando ascoltavamo la registrazione appena finita – quella che in studio suonava così ricca e sfavillante – compressa in un pezzo di plastica, c’era sempre una certa delusione. Nel 1988 è uscito Idlewild, il nostro primo album in cd, ed è stata un’esperienza rivelatrice. Eravamo elettrizzati per quanto era simile a quello che avevamo effettivamente registrato.

Quindi non riesco proprio ad appassionarmi alla questione se il vinile suoni meglio o no. Io credo di no, ma credo anche che non abbia importanza. La gente ama il vinile in modo irrazionale, come ama tante altre cose. Ha un significato posare accuratamente il disco sul piatto di un giradischi e abbassare la puntina. È un gesto reverenziale, rituale. E forse amiamo anche gli scatti, i pop e i fruscii, i rumori di fondo e quel leggero sibilo misterioso che sembra arrivare da chissà dove, forse dal luogo in cui vive la musica.

(Traduzione di Diana Corsini)

Questo articolo è uscito sul settimanale britannico New Statesman.

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