Da anni diverse agenzie offrono classifiche graduate delle università del mondo. I risultati pesano sugli orientamenti di stati e finanziatori privati e di studenti e famiglie che possono permettersi di scegliere.
I criteri sono più o meno oggettivi: quantità di diplomati e di Nobel, impatto delle pubblicazioni dei docenti, stima degli specialisti di diversi ambiti disciplinari. Washington Monthly sta cercando da alcuni anni di innovare la metodologia. Per classificare le università statunitensi utilizza le graduatorie ufficiali pubblicate dal dipartimento federale dell’istruzione, ma soprattutto analizza le risposte date dagli studenti a complessi questionari raccolti dal Community college survey of student engagement (Ccsse).
Per il Monthly è centrale l’effettivo modo di vita e formazione degli studenti. Esempio estremo: quanti studenti fanno volontariato nei Peace corps o per Teaching for America? Sul massimo di cento punti 29 sono assegnati all’apprendimento attivo e collaborativo, 19 alla qualità scientifica (l’unica centrale per altri), 14 all’interazione studenti-facoltà, 12 all’impegno degli studenti, 12 ai supporti nello studio. I 15 punti restanti sono assegnati sulla base delle graduatorie del dipartimento federale.
Viste così, grandi università blasonate e vezzeggiate scivolano in fondo, qualcuna, come Stanford, resiste, ma emergono piccole o poco note università dove si lavora seriamente per preparare agli impegni della vita intellettuale e civile nel mondo presente.
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