Il 7 dicembre l’Ocse ha pubblicato i risultati del quarto ciclo di realizzazione del Pisa, Programme for international student assessment. Per i 34 paesi Ocse e i 33 paesi partner il programma valuta, attraverso questionari e partendo da campioni stratificati delle popolazioni, le competenze dei quindicenni (tra la fine della scuola di base e l’inizio della secondaria superiore). E a seconda dei punteggi li raggruppa in cinque livelli.
I questionari non esaminano alcune competenze importanti, perché difficili da mettere a confronto attraverso prove oggettive comuni. I test quindi non riguardano l’educazione storica o letteraria, la conoscenza di lingue antiche o straniere moderne, il diritto, l’economia, le capacità pratiche, manuali, fisiche, la filosofia.
Il Pisa si concentra su tre ambiti di apprendimento che per loro natura sono più facilmente confrontabili e testabili: lettura, matematica, scienze fisico-naturali. A questi nel Pisa 2009 si sono aggiunte prove di competenza digitale.
Il numero limitato di materie aiuta a capire perché il programma Pisa non va preso come una specie di giudizio universale sulle scuole. L’indagine è impostata seriamente e quindi ha obiettivi raggiungibili e limitati.
Anzi di volta in volta, ogni tre anni, il campo prioritario è uno solo: lettura (2000 e 2009), matematica (2003), scienze (2006). I due campi minori sono esaminati solo in modo parziale. Tuttavia, è possibile averne notizia ogni tre anni e ogni nove si ha la possibilità di un esame analitico approfondito delle tendenze in uno dei tre campi. Tutti e tre sono di evidente importanza, uno in particolare.
La reading literacy, la capacità di “costruire, espandere e comprendere il significato di quanto si legge in un’estesa varietà di testi”, condiziona l’accesso a tutte le forme di informazione e sapere affidate alla parola scritta.
E in effetti una ricerca di Statistics Canada ha mostrato che i punteggi di reading literacy dei quindicenni canadesi nelle indagini Pisa sono molto utili per prevedere l’esito dei successivi studi universitari.
Tra la prima impostazione dei questionari, la loro validazione, la somministrazione, l’elaborazione dei risultati e, infine, la prima pubblicazione passano quattro anni e più. Questo tempo e la mole stessa dei materiali messi in rete (cinque volumi) dovrebbero far capire che soffermarsi solo sulla tabella dei risultati complessivi delle prestazioni dei sistemi scolastici e sulla graduatoria dei paesi come fosse un’olimpiade è un esercizio superficiale.
Anche la graduatoria, però, può dire cose rilevanti. Per esempio, appena la si correla al reddito dei paesi, toglie assolutezza a una doppia equazione che rischiamo di avere in testa: paese povero = scuola malmessa, paese ricco = scuola efficiente.
È vero che i dieci paesi con la maggioranza di studenti fermi al livello 1 (il più basso) sono i più poveri del mondo e che i paesi con la maggioranza di studenti nei livelli alti, dal 3 al 6, sono i 34 paesi Ocse con il pil più alto. Ma il Pisa 2009 mostra che paesi a pil basso come Shanghai (Cina) o la Corea del Sud hanno i punteggi più alti di tutti.
Non conta nemmeno la quantità di dollari investita in scuole. Per risultati positivi contano invece dati economici più sottili: non la quantità assoluta di dollari, ma la percentuale di pil destinata all’istruzione.
Oppure una non iniqua distribuzione dei redditi e la conseguente assenza di quelle enormi percentuali di svantaggiati che precludono buoni risultati alle scuole di Turchia e Messico (58 per cento di svantaggiati) e, con percentuali superiori al 20 per cento, rendono assai difficile la vita alle scuole di Cile, Portogallo, Spagna, Italia, Polonia.
E, tuttavia, il Portogallo è tra i paesi che hanno mostrato di migliorare di più dal 2000 al 2009, merito del convergere di tre fattori: qualificazione degli insegnanti, aumenti retributivi e loro valutazione sistematica (autonoma dal ministero).
Sono fattori che dappertutto operano positivamente, specie in sinergia, sulla qualità degli insegnanti che sin dalle prime indagini è sempre apparsa come il fattore più importante per migliorare la qualità della scuola.
Se si lascia la pura classifica e ci si addentra nella selva di dati e correlazioni si scoprono molte cose interessanti. Per esempio è un dato internazionale consolidato che dappertutto le ragazze hanno abilità di lettura molto superiori rispetto ai maschi, li superano spesso per scienze e solo in matematica hanno punteggi medi un po’ inferiori.
Paesi come la Finlandia e la Corea del Sud hanno i risultati migliori e la più alta percentuale di livello 5, ma sono anche i paesi con minima varianza tra le scuole. Un sistema scolastico funziona bene se non crea solo eccellenze, ma sa far progredire tutti, anche gli alunni meno brillanti.
Le due cose a quanto pare vanno di pari passo. Per la scuola italiana è dunque un buon segno che, pur restando complessivamente sotto la media Ocse, non solo la supera con ottimi risultati nel nordovest e in Trentino ma, grazie ai risultati meno negativi del sud, mostra una minore variazione regionale rispetto ai cicli precedenti.
Internazionale, numero 877, 17 dicembre 2010
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