Come Hugo Chávez in Venezuela e il Frente amplio in Uruguay, anche Evo Morales ha avviato in Bolivia una politica scolastica di rinnovamento, che del resto è richiesta dalla nuova costituzione del 2009.
Rispetto agli altri due paesi latinoamericani la Bolivia si caratterizza per una più alta quota di analfabeti, un sistema scolastico pubblico da rifondare vincendo le resistenze del clero e una molto più marcata eterogeneità etnico-linguistica. Gli “europei” che usano il castigliano (espressione preferita a spagnolo) sono solo il 15 per cento dei nove milioni di abitanti, i meticci sono il 30 per cento, il 45 per cento della popolazione è formato da gruppi indigeni (l’articolo 5 della costituzione ne enumera 37). Questi usano lo spagnolo come seconda lingua, ma restano largamente fedeli alle antiche lingue locali.
Emergono sugli altri i quasi due milioni di aymara e i quasi tre milioni di quechua. La Ley de educación approvata nel dicembre 2010 riordina le scuole in un ciclo di base di otto anni e uno superiore di quattro, chiede il coinvolgimento delle comunità locali nel funzionamento delle scuole e tra le sue finalità (decolonizzazione, inclusione, equità di genere, educazione interculturale, creazione di una scuola superiore per la formazione di insegnanti) assegna grande spazio all’insegnamento delle lingue indigene: prima lingua e lo spagnolo seconda dove sono dominanti, seconda lingua a integrare l’insegnamento in castigliano dove sono in declino.
Internazionale, numero 881, 21 gennaio 2011
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it