A guardare le cose da una galassia remota l’omofobia è solo una delle forme della discriminazione di umani contro umani. Per certi aspetti è perfino meno rilevante di altre, dal sessismo maschilista al razzismo etnofobico all’odio religioso e all’oppressione di classe. Però chi combatte altre forme di discriminazione è accompagnato da un’onda di consensi che manca se si solleva la questione dell’omofobia, della sua sottile pervasività.

Lo sta sperimentando Najat Vallaud-Belkacem, da pochi mesi ministra dei diritti delle donne e portavoce del governo francese. Coinvolgendo l’intero governo, ha predisposto un piano ampio di interventi contro l’omofobia, di cui dà ora notizia il settimanale gay Têtu. Allo stesso settimanale poco tempo fa aveva dichiarato di voler scovare le radici dell’omofobia dappertutto, anche nei manuali di storia e letteratura, pieni di reticenze.

In Italia un valente giornalista e studioso, Giovanni Dall’Orto, va documentando nel suo sito il peso della tradizione omofobica nelle presentazioni scolastiche di vaste schiere d’artisti e personaggi storici. La ministra francese si è limitata a evocare il caso dei silenzi su Arthur Rimbaud e per sua fortuna ha taciuto quello, connesso, di un’altra sacra icona, Paul Verlaine (di cui Dall’Orto offre ora una bella “antologia poetica omosessuale”). È successo, come si dice in Sicilia, un vivamaria, un gran putiferio. La ministra è stata accusata di censurare i testi, ma non s’è scomposta e va avanti.

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