Ihsanullah Ihsan, portavoce dei taliban pachistani, un anno fa rivendicò l’attentato del 9 ottobre 2012 contro uno scuolabus. Un gruppo di armati, saliti a bordo, cercavano in particolare una ragazza, la trovarono, le spararono alla testa per ucciderla. La ragazza era Malala Yousafzai, “simbolo degli infedeli e dell’oscenità” secondo il tālib portavoce.
Dal 2010, aiutata dalla Bbc, Malala aveva creato un blog per convincere le ragazze della sua città, Mingora, nel distretto dello Swat, a ribellarsi all’editto talibanesco che vieta alle ragazze di andare a scuola e studiare. Così, a tredici anni, era diventata il nemico numero uno, da far fuori. Non ci sono riusciti, Malala è sopravvissuta. Curata nel Regno Unito ha ricominciato ad andare a scuola ed è diventata ancor più simbolo: della tenacia spesso eroica con cui milioni di ragazze e ragazzi cercano di studiare nelle condizioni anche più proibitive. Ha avuto diversi premi.
Ogni tanto qualche esperto scettico si alza e ci spiega che l’istruzione per tutti è una cosa inutile. Studi a casa chi proprio vuole. Malala e le sue compagne non ne sono persuase. A loro modo non ne sono persuasi neanche i fanatici che sporcano il nome dell’islam. Le scuole sono un pericolo da annientare.
La lista degli attentati a scuole, dalla Nigeria a Iraq e Pakistan, non ha fine. I taliban sanno, come sanno ragazze, ragazzi e loro insegnanti, che la via della liberazione parte dalle aule.
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