A proposito di mooc, Toile de l’éducation dell’11 dicembre suggerisce di leggere quel che con molto equilibrio scrive nel suo blog Christophe Pérales, presidente dell’associazione dei bibliotecari francesi. La febbre dei mooc dilaga nel mondo, specie nelle università. Si moltiplicano le piattaforme che offrono corsi gratuiti in rete. A Coursera, Nettuno, France Université si sono aggiunte edX, Udacity, Océan, lanciato in novembre da sei università francesi, canadesi, belghe e svizzere, e si è aggiunta da quest’anno Iversity. All’acronimo mooc, massive on line open courses, i francofoni vogliono affiancare flot, formations en ligne ouvertes à tous, oppure cloms, cours en ligne ouverts et massifs.

Si teorizza la diversità tra x‑moocs (video delle lezioni frontali di un docente) e c-moocs (che mettono in connessione gli studenti in una classe virtuale). Si scontrano gli entusiasti e i contrari. A Pérales potenzialità e fascino paiono indubbi. Ma lo strumento resterà sottoutilizzato se non servirà a favorire le classi “ribaltate”: una didattica che, come già avveniva negli Stati Uniti e nell’Europa del nord, impieghi il tempo non nelle lezioni frontali (che per chi studia sono accessibili in ogni momento in rete), ma nel mettere a frutto lo studio già avvenuto, discutendo, integrando, isolando nodi insoluti, lavorando collaborativamente. Un sogno per la Francia (e non solo). Pérales conclude

à la Wittgenstein: non guardiamo allo strumento, guardiamo all’uso che sapremo farne.

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