I corsi online (mooc) dopo qualche diffidenza sono stati accolti con grandi entusiasmi prima negli Stati Uniti, poi in Europa e nel resto del mondo. Entusiasmi di università che ne curano la produzione, di finanziatori pubblici e privati che li sostengono, di docenti che ne vedono il potenziale didattico innovativo, di persone che accedono ai corsi e studiano. I mooc aprono la strada alle flipped classroom, cioè a una didattica in cui il tempo di lezione non è dedicato più all’esposizione di contenuti che i mooc possono illustrare meglio della consueta lezione frontale, ma alla discussione comune e miglior comprensione dei contenuti.
Ora però, a pochi anni dalla loro comparsa sulla scena, i mooc non incontrano più una diffidenza generica, ma obiezioni precise, alcune riecheggiate più d’una volta in Bloomberg Technology. Il 20 novembre Nicole Ostrow osservava che i mooc non sono democratici: se ne servono soprattutto studenti benestanti e preparati. Il fatto è che le lezioni sono impegnative e, commenta Ary Lewy (14 gennaio), le utilizzano solo i più bravi. Solo un passo per arrivare a dire che i mooc sono uno strumento selettivo, che svilisce l’insegnamento ed è asservito al capitale internazionale. In Francia un “collectif anti-moocs” e varie sigle sindacali condannano come “neoliberali” le ministre socialiste di istruzione e università, Valérie Pécresse e Geneviève Fioraso, per l’appoggio dato alle università che hanno prodotto tre corsi di matematica per la piattaforma Cursera.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it