Permettere o no alle ragazze e insegnanti musulmane di portare a scuola l’hijab, il tradizionale velo raccomandato alle donne da una prevalente interpretazione di alcuni versi del Corano? La questione, presente e variamente risolta anche nei paesi islamici, rimbalza da un capo all’altro d’Europa.
Si intrecciano ragioni e valutazioni opposte: il velo simbolo di oppressione maschilista o di autosegregazione, il velo espressione di una libera scelta culturale che sarebbe sbagliato vietare come avviene in Francia. In Germania la tenacia di alcune donne musulmane ha portato la questione dinanzi ai tribunali e alla corte costituzionale federale. L’orientamento che si delinea pare simile a quello britannico. Si abrogano le norme che vietano l’uso del velo per le musulmane, sia alunne sia insegnanti, a condizione che ciò a giudizio dei presidi non turbi la tranquillità degli studi.
Lo Spiegel, la Zeit e altri giornali registrano il riaccendersi del Kopftuchdebate. La Zeit (20 giugno) ha avuto una buona idea. Tutti sentenziano pro o contro l’abolizione del divieto, ma il settimanale si è chiesto: che ne pensano le donne islamiche? Così ne ha intervistate alcune. Emergono dati interessanti. Donne di maggiore cultura, non abituate a usare il velo in famiglia o nei paesi d’origine, lo hanno adottato da adulte in Germania. “Per me è come pregare”, dice una, pur consapevole della natura controversa dei versi coranici. “Non consideratela un pupazzo simbolo di arretratezza”, conclude l’intervista.
Questo articolo è stato pubblicato il 3 luglio 2015 a pagina 94 di Internazionale, con il titolo “Il velo vietato”. Compra questo numero | Abbonati
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