Ho 17 anni ed è l’inizio della primavera. Gioco a basket da un anno e comincio a cavarmela. Al calcio ho rinunciato. Prima di tutto a causa di mia madre, la quale ha deciso che dovrò diventare un intellettuale e non un calciatore. E poi mi hanno aiutato delle tacchettate che ho ricevuto sotto alle ginocchia e che mi hanno tenuto fermo per qualche mese.

Scopro una scuola, non lontana da casa, dove si gioca a basket. Per qualche sera rimango immobile a bordo campo come un idiota, visto che nessuno vuole in squadra un “animale” di un metro e 73 per 53 chili. Poi, un sabato, ci sono solo cinque ragazzi, così riesco a entrare in campo: si gioca tre contro tre. In ogni squadra c’è una ragazza. E sono tutt’e due parecchio belle, cosa che mi dà una motivazione particolare per giocare bene.

Quella della mia squadra è piccolina, ma si muove molto bene e ha il tiro migliore di tutti. Non mi passa mai la palla, finché a un certo punto non riesco a intercettare un passaggio e a fare canestro. Vinciamo tutte le partite, cosa decisamente positiva. In campo sono quello con la pelle più scura, ma siamo nell’era di Ceaușescu, così non ci sono commenti spiacevoli. Tutti evidentemente hanno i loro pensieri, ma nessuno parla.

Polverizzati su un altro pianeta
Torno a giocare in quel campetto praticamente tutte le sere e faccio amicizia con alcuni ragazzi. Lentamente mi impongo come uno dei giocatori migliori, e a volte riesco a dominare le partite. Al campo ci sono sempre cinque o sei ragazze, e sono tutte molto carine con me, tranne Scorpioncino, una ragazzina con un taglio di capelli da maschiaccio e degli occhi azzurro-verdi che sembrano di un altro pianeta.

Una volta, a maggio, mi invitano a una festa e decido di andare. E lì incontro di nuovo Scorpioncino. Stiamo tutta la notte a parlare. E la mattina sono polverizzato, innamorato come non immaginavo mi potesse mai capitare. Fare colpo su Scorpioncino diventa la mia assoluta priorità, e nell’ultimo mese di scuola trascuro totalmente le lezioni. Mi alleno come un pazzo a basket e faccio rapidamente progressi. Mi metto in testa di arrivare a toccare l’anello del canestro e comincio a fare 1.500 piegamenti al giorno. Ho una fortuna incredibile e alla fine riesco ad andare in colonia con lei a Costinești, sul mar Nero. Siamo innamorati persi e ci sembra di essere su un altro pianeta.

Con il senno di poi, quell’anno è il più felice che io ricordi. Scorpioncino è la più bella del reame e tutto è esattamente come nei sogni. In qualche modo riesco a fare una schiacciata e sogno di essere il re della pallacanestro.

È l’inizio degli anni novanta, siamo insieme e io sono superfelice. Guadagno un po’ di soldi facendo ogni tipo di lavoro stagionale (compreso scavare fossi) e sbrigando qualche affaruccio con dei serbi e dei bulgari. Faccio due splendide vacanze a Costinești, praticamente senza preoccupazioni. Non sono troppo interessato all’ingegneria e all’università i miei voti sono poco più che mediocri, ma imparo quello che mi basta per passare gli esami.

È chiaro che agisco con la testa di un bambino, non da adulto

Leggo molto, continuo a spaccarmi la testa sui computer e gioco a basket assiduamente. Facciamo lunghe passeggiate e beviamo Pepsi sul marciapiedi. Scorpioncina è la ragazza più bella che conosca: sono follemente innamorato di lei. A un certo punto, però, scopro che le cose non sono così semplici come sembrano. La sua famiglia è bianca e – improvvisamente – mia madre diventa un problema. Entra in campo il fatto che io sono zingaro. Mi viene detto chiaro e tondo che non dovremmo frequentarci.

Non riesco a capire. Insieme siamo felicissimi, e tutto a un tratto arriva quest’assurdità. Scorpioncino è sempre più sotto pressione. I suoi colleghi dell’università, dove studia legge, nel migliore dei casi mi guardano dall’alto in basso, quando non con aperto disgusto. Tutta la faccenda mi sembra ridicola: sono decisamente migliore di ognuno di loro sotto tutti i punti di vista, escluso il candore della pelle. Penso che la questione si risolverà e continuo a fare tutto il possibile per stare bene insieme a lei. È chiaro che agisco con la testa di un bambino, non da adulto.

Tra l’incudine e il martello
A poco a poco le cose peggiorano. La mia fatina si trasforma in un vero scorpione rivolgendosi a mia madre, che però ha decenni di esperienza in quanto a perfidia: quando le dice che mi ha cresciuto male, entra a pieno diritto nella lista nera di mia madre. Mi sento tra l’incudine e il martello, e continuo a comportarmi come un ragazzino viziato convinto che l’universo nella mia testa corrisponda al mondo reale.

Cominciano le prime discussioni serie e, a un certo punto, lei mi dice che non starà più con me. Che non mi sposerà mai. In realtà io non avevo mai pensato al matrimonio, eppure dentro di me qualcosa si rompe. Improvvisamente mi rendo conto che sono uno zingaro. Che sarò sempre uno zingaro. Capisco che è così anche con gli amici che mi circondano. Brave persone che odiano a morte gli zingari: siamo nel 1993 e da poco ci sono state le violenze di Hădărenei, in cui alcuni romeni e ungheresi hanno ucciso tre zingari. Odiare i rom va di moda.

Intorno a me molti si sforzano di trascurare il fatto che sono zingaro, ma non si fanno problemi a insultare gli altri rom.

Decido che sopravviverò e comincio a costruire muri intorno a me

Mia madre lavora come cameriera da una donna tedesca. Mio padre è un alcolista, ci odia visceralmente e periodicamente minaccia di ucciderci. La Romania marcisce nella morsa dei vecchi agenti della Securitate e di trafficoni che fanno i soldi dal giorno alla notte. Penso seriamente al suicidio e un giorno mi ritrovo a camminare lungo i binari del treno.

È l’inizio del 1994 e sono circondato da una realtà orribile. Sono povero in canna, all’università studio una materia che non mi piace e che mi prepara alla disoccupazione, e in più sono impegnato in una relazione con una ragazza che mi considera un problema per il suo futuro. Il tutto in un paese che sta collassando.

Decido che sopravviverò e comincio a costruire muri intorno a me. Lentamente divento un altro furbetto che cerca solo di cavarsela e comincio a ignorare le persone buone che mi sono vicine, dicendomi che ce la devo fare in ogni modo. Di tanto in tanto do una mano ai bambini bisognosi, occupazione che mi fa sentire migliore, ma ci metterò circa sette anni a capire che accettare la realtà non significa fare come fanno le persone intorno a me.

(Traduzione di Mihaela Topala)

Questo articolo è stato pubblicato dal settimanale romeno Dilema Veche.

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