Un anno fa, il 9 agosto 2016, l’aviazione dell’Arabia Saudita bombardava l’aeroporto internazionale di Sanaa, in Yemen. L’azione faceva parte di un più vasto attacco alla capitale yemenita, che i sauditi bombardano dal 2015. La città è sotto il controllo del movimento Ansarullah, un insieme di gruppi dominato dai ribelli houthi.

Il giorno dopo il bombardamento, Saleh el Samad, capo del consiglio politico del movimento Ansarullah, aveva dichiarato che ulteriori attacchi sauditi avrebbero provocato una catastrofe. L’aeroporto internazionale di Sanaa era infatti un’essenziale via di salvezza per la popolazione dello Yemen settentrionale. Dall’aeroporto passavano cibo e rifornimenti sanitari. A causa degli attacchi, questo non sarebbe stato più possibile.

Un anno dopo, quindici organizzazioni umanitarie hanno condannato il bombardamento dell’aeroporto. “La chiusura ufficiale dell’aeroporto di Sanaa”, si legge in una nota, “ha di fatto intrappolato milioni di yemeniti e impedisce la libera circolazione di merci e di aiuti umanitari”.

Secondo le stime del ministero della sanità, almeno diecimila yemeniti sono morti per il mancato accesso alle cure mediche di cui avrebbero avuto bisogno. Prima del conflitto, ogni anno circa settemila yemeniti andavano all’estero per sottoporsi a cure mediche. Molti utilizzavano l’aeroporto internazionale di Sanaa per partire. Adesso sono intrappolati e condannati a morire.

Lo Yemen è un caso esemplare di paese in cui la malattia viene trasformata in un’arma

Le quindici organizzazioni umanitarie affermano che il numero di persone morte per il mancato accesso alle cure mediche all’estero supera quello delle persone uccise nei combattimenti. Queste cifre rappresentano le “vittime nascoste del conflitto in Yemen”.

Una di queste vittime “nascoste” è il padre di Mutasim Hamdan, il direttore del Norwegian refugee council per lo Yemen, una delle quindici ong che hanno firmato la lettera. Il padre di Hamdan, Mohammed, aveva bisogno di cure mediche urgenti che non erano disponibili nel suo paese devastato dalla guerra. “L’unico modo per salvare la vita a mio padre era portarlo all’estero”, racconta Mutasim Hamdan. Hanno affrontato un viaggio di 24 ore in auto fino all’aeroporto di Seiyun, a est di Sanaa. “I medici ci avevano detto che per lui sarebbe stato pericoloso viaggiare fino a lì, che rischiava di morire per strada, ma era la nostra unica possibilità”. Quando mancavano poche ore all’imbarco, Mohammed Hamdan è morto. “Il viaggio è stato troppo duro per mio padre”, racconta suo figlio.

Wael Ibrahim di Care international, un’altra delle organizzazioni che hanno firmato, ha detto che il blocco rappresenta “una punizione collettiva per il popolo yemenita”. Secondo Ibrahim le strade per raggiungere altri aeroporti sono pericolose, con uomini armati ai posti di blocco e l’aviazione saudita che potrebbe colpire i civili nelle loro automobili. “È un viaggio difficile”, ha detto. Perché l’aeroporto è rimasto chiuso dopo l’attacco dell’anno scorso? “Non c’è alcuna giustificazione”, ha risposto Ibrahim.

La situazione è grave. Lo Yemen è sull’orlo di una crisi sanitaria gravissima provocata dal colera e dalla carestia. I mezzi d’informazione occidentali si occupano pochissimo di queste atrocità. Il dottor Homer Venters dell’organizzazione Physicians for human rights ha affermato che lo Yemen è un caso esemplare di come “la malattia diventa un’arma”. I crimini di guerra sono innumerevoli.

Un assedio medievale
Nel frattempo il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha taciuto sull’assedio medievale che ha strangolato il popolo yemenita, e nessuna delle numerose risoluzioni dell’Onu ha condannato l’Arabia Saudita per la sua guerra e per l’embargo imposto allo Yemen che in pratica lo condanna a un genocidio.

Solo nel giugno di quest’anno il presidente del Consiglio di sicurezza, l’ambasciatore boliviano Sacha Sergio Llorentty Solíz, ha sollecitato l’installazione di gru al porto di Hudayadah (bombardato dai sauditi) e la riapertura dell’aeroporto internazionale di Sanaa. Ma non c’è stata una parola sul fatto che l’embargo imposto al popolo yemenita è una violazione della libertà di movimento (articolo 13 della dichiarazione universale dei diritti umani).

A gennaio del 2016, riferendosi alla situazione in Siria, l’allora segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon aveva detto: “La morte per fame utilizzata come arma rappresenta un crimine di guerra”. Nessuna dichiarazione del genere è mai stata fatta riguardo l’assedio dell’Arabia Saudita.

Di recente il coordinatore delle Nazioni Unite per le operazioni umanitarie in Yemen, Jamie McGoldrick, ha dichiarato di essere in contatto con il governo saudita e i suoi alleati yemeniti. McGoldrick ha chiesto personalmente ai sauditi di consentire la piena riapertura dell’aeroporto (al momento solo pochi voli possono atterrare). Le Nazioni Unite hanno chiesto ai sauditi di consentire ogni settimana a uno o due voli umanitari di lasciare Sanaa. Il ponte aereo potrebbe passare per l’Arabia Saudita, e questo consentirebbe agli agenti dell’intelligence saudita di controllare i passeggeri. Perfino questo è troppo per Riyadh, che non ha acconsentito. “È come essere intrappolati in una mentalità da assedio”, ha commentato McGoldrick. “È diventata una tattica di guerra e credo che sia davvero ingiusto”. È più che ingiusto: è un crimine di guerra.

Gli Stati Uniti rifiuteranno di riarmare l’Arabia Saudita che continua a colpire lo Yemen?

A marzo l’ambasciatrice Michele Sison, vicerappresentante statunitense alle Nazioni Unite e funzionaria di carriera del dipartimento di stato, ha indicato direttamente nella guerra e nell’assedio le cause della morte di civili, nonché dell’epidemia di colera e della carestia che incombono sul paese. “Le limitazioni imposte all’accesso” attraverso il porto di Hudayadah e l’aeroporto internazionale di Sanaa, ha dichiarato, “contribuiscono ad accrescere il rischio di carestia. La chiusura dell’aeroporto di Sanaa e i posti di blocco sul terreno complicano ulteriormente lo sforzo umanitario. Gli ostacoli agli aiuti in Yemen devono essere eliminati”.

Nuove prospettive di guerra
Tutte affermazioni legittime. Ma poi? Gli Stati Uniti faranno pressione esplicitamente sui sauditi per consentire ai voli umanitari di atterrare e decollare dall’aeroporto internazionale di Sanaa? Gli Stati Uniti rifiuteranno di riarmare l’Arabia Saudita che continua a colpire lo Yemen, l’aeroporto internazionale di Sanaa e il porto di Hudayadah? Cosa significa riconoscere che l’assedio è un crimine di guerra, o quanto meno qualcosa di “ingiusto”?

È improbabile che gli Stati Uniti smettano di sostenere attivamente la guerra saudita. La paranoia sul ruolo dell’Iran in Yemen guida le decisioni dell’amministrazione Trump, soffocata da una visione monolitica di Teheran.

Un’operazione spettacolare condotta dai sauditi e dall’esercito yemenita con il supporto degli Emirati Arabi Uniti contro le roccaforti di Al Qaeda nella regione di Hadhramaut, in Yemen, dà alla guerra nuove prospettive. È come se le forze sostenute dai sauditi stessero combattendo non solo contro Al Qaeda, ma anche contro l’Iran. Trump, stranamente convinto del fatto che l’Iran e Al Qaeda stiano dalla stessa parte, ne sarà contento. La realtà però è diversa. L’Arabia Saudita la farà franca. La mostruosa crudeltà delle armi non avrà fine.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

Questo articolo è uscito sul sito di informazione Alternet.

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