Siamo stati educati a essere umili. E se per caso riceviamo qualche riconoscimento pubblico, dobbiamo ricordare i nostri compagni, perché senza il loro aiuto sarebbe stato impossibile ottenere questo risultato.
Lo stesso vale per chi possiede un oggetto, gode di qualche comodità o nutre la “malsana” ambizione di avere successo.
La competitività è stata bollata con etichette difficili da cancellare dal nostro fascicolo personale, come l’accusa di essere “autosufficiente” o “immodesto”. Il successo deve essere o sembrare comune, ottenuto grazie allo sforzo di tutti sotto la saggia guida del partito. Così abbiamo imparato a dissimulare l’autostima e a tenere a freno l’entusiasmo e l’intraprendenza.
In questa società che ha tarpato le ali ai più coraggiosi, i mediocri hanno trovato la terra promessa. Siamo cresciuti in un’epoca in cui bisognava nascondere i beni materiali, dimostrare che eravamo tutti figli di umili proletari e manifestare il nostro odio per i borghesi.
Alcuni hanno finto di abbracciare l’egualitarismo ma in realtà hanno continuato ad accumulare privilegi e fortune, ripetendo nei loro discorsi gli appelli all’austerità. Nelle loro autobiografie raccontano di provenire da una famiglia povera e di voler servire la patria.
Ancora oggi indossano la maschera della frugalità, anche se le loro grosse pance dicono tutto il contrario.
*Traduzione di Sara Bani.
Internazionale, numero 841, 9 aprile 2010*
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