Quest’anno festeggiamo il sessantesimo anniversario dell’arrivo della tv nella nostra vita nazionale, orgogliosi di essere stati i primi latinoamericani ad aver conosciuto uno dei prodigi del novecento. Nei primi dieci anni di vita il piccolo schermo ci ha offerto spazi informativi, eventi sportivi, telenovela e altri prodotti importati come cartoni animati, film d’avventura, telefilm e ovviamente pubblicità.

Nel 1959, quando la rivoluzione trionfò, l’ingresso dei ribelli all’Avana fu trasmesso in tutto il paese. Poco tempo dopo quei guerriglieri trasformarono i canali televisivi in una proprietà dello stato. La tv diventò la tribuna più importante della rivoluzione per pronunciare arringhe, condannare e convincere in assenza di concorrenza. Scomparvero le pubblicità, sostituite da messaggi in cui si raccomanda ai cittadini di risparmiare l’elettricità e l’acqua, mescolati agli appelli a sfilare il 1 maggio, a brevi note biografiche sugli eroi della Sierra Maestra e a promemoria storici.

L’improvviso cambiamento non è sfuggito alle frecciate umoristiche. Come la battuta sul Nobel per la chimica assegnato al presidente dell’istituto di radio e televisione per aver trasformato la tv cubana in spazzatura. Quando il líder máximo occupava lunghe ore della programmazione si diceva che qualcuno avesse fatto riparare il suo televisore per una macchia verde che non voleva andarsene dallo schermo. Prima ci divertivamo con la televisione e ora ridiamo

di lei.

*Traduzione di Sara Bani.

Internazionale, numero 877, 17 dicembre 2010*

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