È sabato sera e calle G è piena di ragazzi seduti sul prato o stipati nelle zone più buie del parco. Dai balconi vicini gli anziani li osservano e fanno commenti così triti e ritriti da essere diventati noiosi: “Questa gioventù è perduta”. Gli sembrano strampalati i vestiti neri, i tatuaggi dai motivi grotteschi e l’aspetto languido di ragazzi che sembrano usciti da un manga giapponese. Ma soprattutto gli adulti criticano la loro apatia. Li accusano di vivere al di fuori della realtà.

Eppure se mi metto a pensare a quand’ero adolescente mi rendo conto che a noi è toccata un’epoca troppo sobria. Erano i tempi del lavoro volontario durante i fine settimana, delle pratiche militari che sembravano infinite e della noiosa tv di stato come unico mezzo di distrazione. A differenza dei giovani di oggi, uscire per strada con i capelli tinti di un colore sgargiante o con i jeans poteva essere interpretato come una deviazione ideologica. Figuriamoci leggere una rivista di fumetti stranieri!

Ecco perché quando vedo questi ragazzini indolenti mi sento sollevata e felice. Preferisco che siano apatici e non fanatici, che stiano attaccati all’mp3 invece di organizzarsi per andare a combattere in trincea. Sono felice che per loro sia anacronistico ripetere slogan o iscriversi all’unica organizzazione giovanile autorizzata dalla legge. So che riusciranno a svegliarsi da quest’inerzia. Sarà molto più facile di quanto non sia stato per noi lasciarci alle spalle il fanatismo.

*Traduzione di Sara Bani.

Internazionale, numero 900, 2 giugno 2011*

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