Il portone non ricorda più il luogo grigio e polveroso di un anno fa. Hanno ridipinto i muri e restaurato le travi, e ci hanno piazzato davanti un tendone a strisce che attira i passanti. Tre cartelli in bella vista annunciano vari servizi: barbiere, vendita di pizze e chiromanzia. È una delle piccolissime aziende private che stanno spuntando sull’isola.
Alcune hanno scritta in fronte la data del loro fallimento. Altre hanno l’aria di volersi trasformare, se ne avranno l’opportunità, in veri e propri empori commerciali. Molte si muovono a piccoli passi e non vogliono ancora dimostrare il loro vero potenziale. Non sia mai che l’apertura economica si riveli effimera come un fritto che si brucia nell’olio ormai consumato di qualche chioschetto. La cautela è l’atteggiamento imprenditoriale più diffuso.
Anche il capitale finanziario fa la sua comparsa. Una parte dei soldi passa davanti agli occhi attenti delle istituzioni bancarie ufficiali, ma un’altra arriva dall’estero attraverso qualche corriere o i parenti in esilio. L’incertezza sul rispetto da parte del governo del suo impegno nei confronti dei nascenti business privati è la zavorra di questa flessibilizzazione economica. Neanche leggendo le mani di undici milioni di cubani o i fondi di caffè è possibile prevedere cosa succederà. Capire se questi fritti di oggi sono davvero l’embrione di una classe imprenditoriale creola o un sotterfugio momentaneo per far guadagnare tempo al governo.
Traduzione di Sara Bani
Internazionale, numero 904, 1 luglio 2011
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