La settimana si preannunciava noiosa. Poi martedì mattina è squillato il telefono. Una voce dall’altro capo del filo mi ha detto che Mariela Castro, la figlia del nostro attuale presidente, ha appena aperto un account su Twitter. Allora le ho scritto subito una domanda dal mio cellulare: “Quando, noi cubani, potremo uscire allo scoperto?”. È una questione che mi tormenta da anni. Mariela Castro, che è la direttrice del Centro nazionale di educazione sessuale (Cenesex), promuove la tolleranza verso l’omosessualità, ma non fa mai riferimento al bisogno di libertà dei cubani in altri ambiti della vita.
La sua risposta è arrivata con un attacco verbale, nello stile dello zio Fidel: “La tua idea di tolleranza riproduce vecchi meccanismi di potere. Per migliorare, devi studiare”. Continuo a chiedermi cosa significhino esattamente le sue parole. Il fastidio ha cominciato a serpeggiare tra gli utenti di Twitter, una comunità in cui nessuno dà lezioni a nessun altro. Ma Mariela non ha mai risposto alla mia domanda. Il suo nervosismo era evidente: “spregevoli parassiti”, gridava contro quelli che la criticavano o le facevano altre domande.
In serata tutti parlavano del fatto che il linguaggio democratico della rete e la sua orizzontalità che mette sullo stesso piano personaggi famosi e persone sconosciute, potenti e diseredati, aveva spiazzato la famosa sessuologa cubana. Tutto è cominciato con una semplice domanda, la richiesta di una cittadina qualunque.
*Traduzione di Sara Bani.
Internazionale, numero 924, 18 novembre 2011*
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