L’aereo è atterrato domenica scorsa, e lunedì sera è di nuovo decollato dall’aeroporto dell’Avana alla volta del Venezuela. La visita di Alexandr Lukashenko nel nostro paese, nell’ambito di una breve serie di visite di stato in America Latina, è durata solo ventiquattr’ore.

Dopo vent’anni di relazioni diplomatiche tra Bielorussia e Cuba, Raúl Castro ha riabbracciato davanti alle telecamere l’uomo che è considerato “l’ultimo dittatore d’Europa”. Con questo gesto sembrava voler stringere un’alleanza, un patto tra persone che sanno di avere davanti anni difficili per l’aumento del malcontento sociale e delle pressioni internazionali. Entrambi i presidenti considerano “strategici” i rapporti tra i due paesi e hanno moltissime ragioni per pensarla così.

Non sono esattamente gli scambi commerciali tra l’Avana e Minsk, che superano ormai i cinquanta milioni di dollari, a rendere questi rapporti così importanti. Neanche la collaborazione nei settori della tecnologia, dei trasporti e dei macchinari agricoli, per cui si prevede una forte crescita nei prossimi mesi. Si tratta piuttosto di un’associazione basata sulle affinità e siglata dal totalitarismo dei due presidenti.

Lukashenko ormai da diciotto anni governa il suo paese con mano dura, e Raúl Castro ha ereditato la presidenza per via di sangue dal 2006. Entrambi sanno che avrebbero molto da perdere se permettessero certe libertà di espressione e di associazione nei rispettivi paesi. Quindi unirsi e stringersi la mano è anche un modo per guardarsi le spalle.

La “foto di famiglia” che abbiamo visto al Palacio de la Revolución è in realtà l’immagine di due autoritari che sanno di aver fatto il loro tempo e che i loro popoli potrebbero reagire da un momento all’altro. Ritrovarsi insieme li fa sentire forti, invincibili.

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